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Voyager Golden Record: un frammento di umanita' nell’universo

La sonda Voyager 1 viaggia sola e silenziosa nell’universo da quando lasciò il nostro pianeta nel 1977. Fu lanciata con missione di viaggiare il più possibile ai confini dell’universo, e ha lasciato casa nostra, il Sistema Solare, dal 2004. La sonda Voyager è il primo oggetto fabbricato dagli umani ad essere andato così lontano nello spazio interstellare, partendo da Cape Canaveral, in Florida.



Dal sito ufficiale della NASA, possiamo sapere in tempo reale quanto la sonda sia lontana da noi: nel momento in cui scrivo queste parole, più di 22 miliardi di kilometri. Ci ha lasciato preziosissime informazioni sui giganti gassosi del nostro Sistema Solare, Giove e Saturno, regalandoci immagini uniche. Qualunque bambino appassionato di fantascienza e spazio, cresciuto negli anni 80, si ricorderà di lei e della sorella Voyager 2.


Il suo viaggio ai confini di ciò che conosciamo però non è così solitario, in qualche modo, un po’ tutti noi siamo con lei. Questo perché la sonda porta con sé un documento curioso e raro, quasi bizzarro: un disco d’oro, il Voyager Golden Record. Il Voyager Golden Record è un disco da grammofono, all’interno del quale sono state inserite testimonianze della vita sulla Terra: suoni, immagini, voci degli umani e del loro pianeta. Viaggia con la Voyager 1, portando incise sulla sua copertina le istruzioni per poterlo codificare. A bordo della sonda, c’è anche una puntina da giradischi, in modo da poterlo ascoltare, mentre si sta fluttuando nello spazio.

Il tentativo di trasmettere qualcosa della Terra a gli alieni, qualunque cosa siano (possiamo certo immaginarceli come E.T, ma potrebbero essere anche semplicemente micro-organismi viventi), non nasce col Voyager e il suo disco.

Le incisioni sulla Placca Pioneer. Credit: NASA Ames

Il progetto NASA Pioneer, che conta una lunga serie di sonde, lanciate a partire dall’inizio dagli anni Settanta, a suo modo ci provò anche lui: in particolare, lo fecero le sonde Pioneer 10 e Pioneer 11, durante il loro viaggio a caccia di informazioni sui pianeti del nostro Sistema Solare. Portarono infatti con loro una curiosa targhetta d’oro, la Placca Pioneer, che segna il punto d’inizio per la storia del Golden Record. Questa targhetta è stata incisa con un disegno di un uomo e una donna nudi e una serie di simboli che vogliono rappresentare l’origine delle sonde. È la versione spaziale di un messaggio in bottiglia che dice “Ciao, siamo i terrestri!”.



Le sonde che la ospitavano hanno lanciato l’ultimo messaggio verso la Terra nel gennaio del 2003; dopo quel momento, viaggiano nel vuoto, troppo lontane per parlarci di nuovo. La Placca Pioneer, come detto, era solo il punto d’inizio di questo strano contatto che la NASA sembrava voler avere con gli abitanti dello spazio.

Il Voyager Golden Record farà molto di più.

Il disco sarà il tentativo definitivo e concreto dell’umanità di far conoscere qualcosa di sé stessa ad un’ipotetica civiltà aliena che lo possa ritrovare insieme alla sonda. Il suo contenuto, scelto da una commissione guidata dall’astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan, è allo stesso tempo emozionante e straniante, se visto da un terrestre ed è molto di più che delle incisioni su una placca.


Saluti registrati nelle 55 lingue della Terra, incluse quelle di antiche civiltà (si affaccia infatti, insieme alle lingue vive, addirittura l’accadico, parlato nel III millennio a.C.), si fanno spazio tra 115 immagini che ritraggono noi e il nostro mondo nelle sue mille varietà: umani mentre mangiano, costruiscono, imparano e si guardano. Seguono immagini poi della nostra Terra: cos’è il mare, i deserti, come sono fatti gli alberi, com’è il nostro pianeta visto da fuori. Il Voyager Golden Record porta con sé anche la musica: Mozart, Beethoven ma anche Chuck Berry. La loro musica è stata inserita accanto ad una selezione di suoni naturali: il mare, il vento tra le fronde, un tuono, versi di animali. È dato spazio anche a ciò che l’intelletto umano ha prodotto nella conoscenza scientifica: schemi sulle nostre basi matematiche e fisiche, il DNA, un disegno del nostro Sistema Solare.


La NASA ha reso parzialmente disponibile, per motivi di copyright, il contenuto del record, permettendoci di immedesimarci in degli ipotetici alieni, intenti ad analizzarlo. Il disco venne costruito in rame placcato d’oro, nella copertina un campione dell’isotopo 238 dell’Uranio, che grazie al suo lungo tempo di decadimento, potrebbe aiutare l’alieno nel determinare l’età del manufatto, se mai ne fosse in grado.


Sono sempre stata affascinata da questo progetto, pur nella sua assurdità: lo stesso Sagan afferma che le possibilità che una civiltà extra-terreste possa trovarlo sono irrisorie, e che questa civiltà sia così avanzata per poter codificare e interpretare il contenuto del disco, è un’ipotesi ancora più remota.


Perché costruirlo? Qual è il significato di questo disco?


Ho sempre pensato che il Voyager Golden Record non fosse stato costruito per gli alieni bensì per gli umani. Per me, non è altro che il tentativo dell’umanità di sopravvivere nella vastità, forse vuota o forse no, dell’universo.

Un messaggio in bottiglia lanciato nello spazio più profondo, che da un lato ammette la solitudine del nostro mondo, ma dall’altro vuole celebrare tutte le piccole cose che ci rendono umani: parlare, suonare, mangiare, vivere sulla Terra. Siamo questo infondo, esseri semplici ma estremamente curiosi.


Il disco e il suo contenuto non sono esenti da contraddizioni, ma anche queste possono farci capire di più di chi siamo: la commissione che ha curato la selezione di testimonianze da inserire nel progetto era composta da uomini e donne, con i loro pensieri e le loro convinzioni, che ora possono anche apparire assurde. La NASA non approvò l’inclusione di una fotografia di un uomo e una donna nudi, giudicandola inopportuna, si optò invece per una silhouette in bianco e nero. Un’altra piccola assurdità la commise la casa discografica EMI che disapprovò, per motivi di copyright, di far inserire Here comes the Sun dei Beatles tra la selezione musicale del disco. Insomma, un piccolo strappo ai diritti d’autore per gli alieni sarebbe stato sicuramente più simpatico. Gli umani però sono anche questo: bellezza e assurdità.

Cosa penserebbero di noi gli alieni, vedendo queste immagini e sentendo questi suoni?


Dobbiamo premettere che, in effetti, la commissione guidata da Sagan ha avuto estrema fiducia negli extraterrestri: per loro dovrebbero essere in grado di capire la nostra tecnologia e interpretare il contenuto del disco. Come detto, questo messaggio in bottiglia ha più senso per gli umani che per i "non-umani". Credo che gli alieni, vedendo il record, si accorgerebbero forse di quanto siamo egocentrici.


Frank Moth - Don't worry, the Kids will be Alright

Potrebbero pensare: “Umani e solo umani, la Terra sembra grande, dove sono tutti gli altri tipi di abitanti? Tutto sembra ruotare intorno a loro”.

Anche questo, a mio parere, è un grande insegnamento che rende il Voyager Golden Record ancora un oggetto affascinante e curioso da guardare: ci fa comprendere quanto siamo incapaci di descriverci e comprenderci, di guardarci da fuori, nonostante tutti i tentativi. Nonostante questo, siamo capaci di avere il coraggio di farci conoscere con le nostre imperfezioni e, come abbiamo visto, contraddizioni.


Proviamo a concentrarci e a portare la nostra mente alla Voyager.

Viaggia da sola nel vuoto, niente ossigeno, non una luce. Qualunque fioca stella è lontanissima da lei. La Terra è stata lasciata alle spalle da ormai 44 anni. Grazie al disco, è come se stessimo viaggiando anche noi: per quanto ne sappiamo, nell’universo siamo soli.


Pale Blue Dot, Voyager 1, 14 Febbraio 1990

In questo solitario viaggio ci portiamo dietro la nostra identità e quella della nostra bella Terra. Questo per me è il senso del Voyager Golden Record: è la nostra solitaria identità.

Questa solitaria identità, forse, è possibile sintetizzarla solo con un’immagine: la fotografia nominata “Pale Blue Dot”, pallido punto blu, scattata dalla sonda Voyager 1 il 14 Febbraio 1990, così come riportato dalla timeline della missione. Quel piccolissimo punto blu, così piccolo da dover essere indicato dal cerchio, siamo noi. È casa nostra, tutto ciò che conosciamo è lì: tutti i libri che ci piacciono, le persone che abbiamo conosciuto, tutti i baci che abbiamo dato e le emozioni che abbiamo vissuto. Tutto in un unico punto: penso sia un’immagine di grande forza e delicatezza, forse può fare addirittura paura. La Voyager è più coraggiosa di noi, lei sa andare lontano.



«Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.» (Jimmy Carter)


A cura di Chiara Tramontana

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