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Intervista a chi ha sconfitto la droga

Carmelo è un diciassettenne di provincia con una grande passione per la musica. La scuola lo annoia, trascorre gran parte della giornata con gli amici nel bar del quartiere.

Sono gli anni Ottanta, anni di grandi cambiamenti che coinvolgono diversi aspetti della società, dalle arti al costume, il tutto spinto da sempre più veloci progressi tecnologici.


Tuttavia questo è un processo a cui Carmelo assiste solamente come uno spettatore passivo, attraverso la televisione o la radio: fuori casa, dove si svolge la vita reale, la situazione non è affatto la stessa.


Favara, così come la gran parte della Sicilia e del Sud Italia, si espande urbanisticamente grazie al boom economico legato soprattutto al settore dell'edilizia. Le condizioni economiche di molti migliorano, ma il disagio sociale si respira a pieni polmoni. La mafia, fortemente radicata nel tessuto sociale, miete vittime con le armi e con la droga; i 'morti ammazzati' diventano una costante della cronaca locale e i ragazzi che perdono la vita a causa dell'eroina sono sempre di più.


Carmelo si sente oppresso da questa miseria in cui vive, la voglia di evadere è tanta, i mezzi per riuscirci meno. È facile lasciarsi attrarre dalle tentazioni che offre la strada, tra queste l'eroina, che scorre come un fiume in piena. Ciò che lui cerca, in fondo, è una forma di alienazione, seppur breve, che possa dargli una sorta di pace, di estasi.


Fu così che per Carmelo, come per altri suoi amici e coetanei, iniziò la caduta verso il baratro. Molti giovani vengono risucchiati da un vortice da cui difficilmente si riesce a venire fuori, un incubo per sé e per la propria famiglia, distrutta dal dolore e da un certo senso di vergogna nei confronti della comunità.


Carmelo ha attraversato momenti drammatici dai quali sembrava impossibile uscire vivo, ma grazie alla sua forza e all'aiuto di chi gli è stato vicino è riuscito a rialzarsi. Raccontando la sua esperienza, ci aiuta a comprendere meglio il disagio che riguarda molti giovani di ieri e di oggi e la sua testimonianza è anche un omaggio alla memoria di tutti coloro che purtroppo non ce l'hanno fatta.

La redazione di Todomodo ha voluto incontrarlo per raccogliere una vivida istantanea di quegli anni maledetti e cercare di comprendere, per quanto possibile, le dinamiche, le illusioni e le tragedie di una vita che è riuscita a non degradarsi, a non perdersi, a reagire al baratro e a donarci una storia di speranza.


Quali erano le tue passioni e i tuoi sogni da ragazzo, e che persona eri? Da ragazzo ero un tipo abbastanza normale, mi sentivo molto amato e adoravo la musica. Gestivo una trasmissione radiofonica, Radio Favara, che prendeva il nome dal paese in cui sono nato e cresciuto fino ad oggi. Non mi piaceva studiare. La mia materia preferita era, infatti, educazione fisica. Ero membro di una squadra di pallavolo, con cui un anno abbiamo anche vinto il titolo regionale. I giovani negli anni ‘80, affascinati dalla celebre pellicola “Il tempo delle mele”, organizzavano e frequentavano molte feste. Io non ero da meno, ne frequentavo molte e il resto del tempo libero lo trascorrevo insieme al mio gruppo di amici. Frequentavamo i nostri luoghi abitudinari, come per esempio il bar di fiducia e la sala da biliardo, e il nostro "passatempo" preferito, se così può chiamarsi, consisteva nell’osservare le ragazze passare nei dintorni.

In che anno e che età avevi quando hai iniziato a fare uso di droghe? Com’era l’ambiente a Favara durante quel periodo, e quali motivi ti hanno spinto a farlo? Descrivi la prima volta e cosa hai provato. Ricordo che la Favara della mia adolescenza era un paese senza speranza: si sentivano spesso fatti di cronaca come uccisioni legate alla mafia e la circolazione senza freni dell'eroina. La delinquenza proveniva proprio da quella direzione, lo spaccio di droga era molto intenso, molti tossici finivano per derubare qualcuno e di tanto in tanto ci scappava qualche morto di overdose. Un vero e proprio inferno. L’errore che riconosco di aver fatto è quello di aver trascorso troppo tempo in maniera vuota e poco costruttiva, proprio questo è stato il danno più grande che ha condizionato il mio futuro. Durante le famose "feste" c’era sempre qualcuno che aveva dell’eroina con sé e la tirava fuori per condividerla: proprio il quel preciso momento avrei dovuto essere pronto a rifiutare, perché ciò che quella sera poteva sembrare un sogno in realtà si sarebbe poi trasformato in un lungo incubo, per me e per tutte le persone vicine.

Ci parli di come ti sentivi nel periodo in cui facevi uso di eroina? Com'era l'atteggiamento dei tuoi familiari e dei tuoi amici nei tuoi confronti?


Nei primi periodi non mi rendevo conto di essere diventato dipendente dalle droghe, sembrava tutto appagante e bello ai miei occhi, perché sia l'eroina che la cocaina mi facevano sentire bene. Era solo un'illusione, naturalmente. Definisco la tossicodipendenza una tortura psicologica, perché ben presto mi sembrò di entrare come in un girone dell'inferno dantesco. Vivevo la mia vita solo ed esclusivamente per la droga, mi facevo tutti i giorni e nei ritagli di lucidità il mio unico scopo di vita era la ricerca spasmodica di uno spacciatore. Tutto ciò mi impediva di vivere, perché i momenti in cui ero in totale controllo di me stesso erano diventati veramente una cosa rara. Lì ho capito che ero finito in trappola e che non sarei riuscito facilmente a uscirne. La mia famiglia e i miei amici soffrivano molto insieme a me, perché si sentivano impotenti davanti a una piaga del genere. D'altronde, in quegli anni, la droga era un problema nuovo e nessuno, nella società italiana, aveva la benché minima idea di come affrontarlo.


Come, quando e perché è arrivato il momento in cui ha deciso di smettere? Chi ti ha aiutato ad abbandonare la droga?


Quando si fa uso di droghe per trent'anni, è chiaro che si sta letteralmente giocando con la propria vita. Dopo tutto quel tempo trascorso a bucarmi era una vera fortuna essere ancora vivo, e mi ritrovai ad un bivio fondamentale in cui dovevo prender una decisione netta. Successe tutto per caso, quasi per una forza invisibile fuori dal mio controllo, in un giorno qualunque in cui ricorreva la festa di Santa Rita da Cascia, evento di grande richiamo religioso tra i miei concittadini.

Mi trovavo nel giardino di casa mia, e osservavo delle persone passare con una rosa in mano. Incuriosito, chiesi una spiegazione di quella strana processione a mia madre. Lei mi disse che la gente si dirigeva in Chiesa per portare il fiore in onore di Santa Rita: in quel momento sentii una sorta di voce intima che mi suggeriva di raccogliere una rosa ed unirmi a loro.

Casualmente, il mio giardino era pieno di rose, e chiesi a mia madre il permesso di raccoglierne una. Lei inizialmente fu contraria, perché non ero di certo un bello spettacolo da vedere: in quel periodo avevo toccato il fondo, ed era fin troppo evidente anche a uno sguardo superficiale. Insistetti così tanto che mia madre mi accontentò. Quel giorno trovai in Chiesa delle persone disponibili ad aiutarmi, persone che si presero cura di me, come nessuno aveva fatto fino a quel momento. Mi sentii accolto, e iniziai a frequentare quell'ambiente sempre più spesso. Lì mi convinsero ad andare in comunità, e concludere un percorso che avevo già tentato di intraprendere quindici anni prima. Da allora non ho più abbandonato la fede, e nemmeno quelle splendide persone che mi avevano accolto senza pregiudizi. Ad aprile saranno otto anni senza droga e senza alcolici, di cui ho cominciato ad abusare fino ad avere problemi di salute.


Vi erano momenti di lucidità, durante il periodo in cui facevi uso di eroina, in cui ti sentivi smarrito e avevi paura di non essere in grado di uscirne? Sì, quei momenti arrivavano sempre quando ero strafatto, perché quando si ha la droga in circolo non si sente il bisogno di averne ancora. E allora pensi a come uscirne, perché prima o poi ci si stanca di essere prigionieri di questo circolo vizioso. Si fanno mille propositi, si pensa alla vita che si aveva prima, di com’era semplice, normale e meravigliosa allo stesso tempo. Si pensa a tutte quelle piccole cose che, adesso, mancano tanto. Purtroppo questi momenti duravano veramente poco: senza accorgersene si è già in cerca di una nuova dose o la si sta già consumando. Quei momenti erano, comunque, dei campanelli d’allarme, dei segnali di volontà, della voglia di uscirne. Quando accadono sai già che una parte di te vuole uscirne.

Parlaci della tua riabilitazione. Ho compiuto il mio percorso di riabilitazione in comunità, grazie all’Associazione Mondo X, trascorrendo in tutto tre anni e mezzo nelle varie sedi sparse per tutta Italia. Quelle in cui ho passato più tempo sono l’Isola di Formica, nel trapanese, e Villa Due Orologi, a Bologna.

Non entro nei dettagli della vita comunitaria, perché è molto difficile da spiegare e da capire. La comunità è una di quelle esperienze che devono essere vissute in prima persona per comprenderle pienamente. I tempi sono molto lunghi: durante il primo anno si è ancora molto confusi, e solo successivamente si riesce ad entrare nella giusta ottica per affrontare la situazione. Naturalmente c’è chi impiega più tempo di altri, e viceversa, la cosa è soggettiva, ma sicuramente non è immediata per nessuno. La mia vita in comunità si è conclusa con un rientro obbligato a casa, per via delle condizioni di salute di mia madre che necessitavano della mia presenza. Devo ammettere che avrei continuato la vita in comunità molto volentieri, ma sono comunque soddisfatto del periodo di permanenza trascorso.

Una volta ritornato al mondo esterno, bisogna per forza tagliare i ponti con la vecchia vita per iniziarne una nuova. A un certo punto è anche una cosa quasi spontanea, perché ti accorgi che le persone che frequentavi prima non hanno più nulla in comune con te, o forse non lo hanno mai avuto, e l'unico motivo di unione era la droga. La mia vita oggi è fatta di piccole cose che mi riempiono il cuore: la famiglia, gli amici, la fede. Nel frattempo sono diventato persino "ministro straordinario" (uomo laico a cui è affidato in maniera straordinaria il servizio liturgico della distribuzione della comunione, ndr), una carica di cui vado molto fiero e che avrei pensato impossibile solo qualche tempo fa.

In poche parole, adesso ho riempito il vuoto dentro di me con i valori della fede e dell'appartenenza ad una comunità, e questo mi fa sentire notevolmente meglio di quando lo riempivo con la droga.


L'isolotto di Formica nell'arcipelago delle Egadi. Appartiene alla comunità Mondo X, che ha impiantato lì una delle sue sedi. Mondo X è una comunità terapeutica per tossicodipendenze di vario genere fondata negli anni ’80 da Padre Eligio.

Ci sono stati ragazzi che non ce l'hanno fatta? È il caso di qualche tuo amico (o conoscente)? Pensi spesso a loro? La risposta a questa domanda sarebbe, purtroppo, una lista lunghissima di morti per overdose, uccisioni, suicidi. Alcuni adesso sono in depressione, ma in ogni caso si tratta di tante persone, troppe. A volte ci penso e prego per loro, e quando lo faccio mi rendo conto di quanto sia grato a Dio per avermi dato un’altra possibilità. Per questo adesso vivo cercando di aiutare il mio prossimo, al massimo delle mie possibilità. Questa è diventata la mia ragione di vita.

Puoi descriverci, per quanto possibile, la gioia dei tuoi cari nel vederti "rinato"?

Una cosa interessante che ti insegna la comunità è quella di leggere prima di tutto il linguaggio del corpo. Osservare negli occhi di mia madre e dei miei cari la luce che si accende nel guardarmi è una cosa che è difficile spiegare con delle parole. Posso leggere la felicità nello sguardo delle persone che un tempo si erano allontanate da me e ora si riavvicinano speranzose, persone che ora hanno una propria famiglia e una propria vita. La serenità della famiglia ti ripaga di ogni sforzo. La prima volta che ho visto mia madre, dopo otto mesi in comunità, sembrava ringiovanita di vent'anni. Questo ti dà la forza di andare avanti, anche se il percorso in comunità è sempre molto duro.

Pensi che al giorno d'oggi vi sia un disagio simile a quello di allora che spinge alcuni giovani verso l'eroina? La droga è sempre esistita, fin dall’antichità. E' vero che condizioni problematiche concorrono a creare situazioni tragiche come queste, ma in realtà molte persone fanno fatica ad ammettere che il vero disagio spesso nasce dentro di noi. E' facile dare la colpa alla società, ma non è sempre o del tutto così. Siamo esseri umani, abbiamo dei limiti che non conosciamo e che, purtroppo, possono spingerci a commettere certi errori.

Quali sono le differenze tra il ragazzo che eri allora e l'uomo che sei oggi? Ma soprattutto, vi sono aspetti della tua personalità che sono rimasti gli stessi? Riallacciandomi alla penultima domanda, vorrei sottolineare che il ragazzo che ero allora non conosceva affatto sé stesso. Ciò mi ha portato, come può capitare a tutti, a commettere degli errori. L’uomo che sono oggi, invece, possiede più consapevolezza e conosce sé stesso. Adesso sto lontano dalle cose che mi fanno del male o che non riesco a gestire. Non bisogna mai rimpiangere gli errori commessi durante la propria vita, tossicodipendenza e alcolismo, nel mio caso. Ovviamente bisogna cercare di non compiere certi sbagli, ma l’uomo che sono adesso è anche il frutto di tutti i fallimenti e di tutti gli errori commessi in giovinezza. Ci tengo a concludere sottolineando proprio questo concetto, a me tanto caro, e citando una frase di San Francesco che ho tatuato nello stesso braccio dove una volta mi bucavo: “ Signore dammi la forza di accettare quello che non posso cambiare”.



1 Comment


mauriprinz
Mar 22, 2021

Sono d'accordo non è possibile raccontare Mondo x, solo chi l'ha vissuto può capire e anche se puo sembrare assurdo sono degli eletti.

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