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SOCRATES, O DOUTOR DA BOLA – PARTE II

Continua la storia del calciatore – filosofo e della sua creatura: la “Democracia Corinthiana”


“Ganhar ou perder, mas sempre com democracia”

Ci eravamo lasciati con il gol di tacco di Sòcrates in quel Santos – Botafogo e la sua “investitura” da parte di O Rey Pelè . Le magie di quel giorno sono solo il trampolino di lancio che porterà O Magrão ad essere il protagonista di un esperimento che, ad oggi, rappresenta un unicum nel mondo del calcio: la Democracia Corinthiana.

Il Dottore arriva al Corinthians nel ’78 e, un anno dopo, vince di nuovo il campionato paulista disputando anche una buona stagione. Ma non è entrato nel cuore dei tifosi. Colpa forse della sua affermazione in conferenza stampa il giorno della sua presentazione («Sono felice di essere qui, ma sono un tifoso del Santos»), forse della sua andatura in campo, lenta al limite dell’indolenza, che mal si sposa con lo spirito alvinegro votato alla tenacia, alla grinta e allo sputare sangue per quella maglia. D’altro canto, Sòcrates è solo fedele alla sua filosofia, visto che ama ripetere che «In campo ci sono quelli che corrono, e quelli che pensano».

Oltre a ciò, è un calciatore particolare, che ascolta i Beatles, ama i pittori fiamminghi e il Rinascimento, e che in virtù di ciò ritiene il calcio un’espressione artistica, in cui il risultato è solo un dettaglio. Socratès, poi, ama le feste: il suo compleanno dura una settimana perchè lo si fa iniziare il 12 o il 13 Febbraio, in coincidenza con l’inizio del carnevale. E chi non sa cosa rappresenta il carnevale per il Brasile, non ha ben chiaro il concetto di “festa”.

A causa di tutto ciò non sopporta la pressione di stampa, pubblico e di una frangia di tifosi che lo contesta aspramente. Si sente soffocato e dice che, se la vita di un calciatore professionista è questa, preferisce lasciar perdere e fare il medico. Dopo un tentativo di aggressione e linciaggio capisce che è arrivato il momento, e nel 1980 dice ufficialmente addio al Corinthians.



Ma i colpi di scena danno alle storie quella patina dorata di enfasi ed epica, si sa; e Sòcrates, alla ripresa del campionato nazionale, si ripresenta alla squadra. Ha deciso di combattere, ma a modo suo. È diverso: lavora anche sul piano atletico; ha la barba lunga, che gli conferisce quell’aura filosofica consona al nome che porta; persino lo sguardo è differente, si vede che il filosofo sta cogitando qualcosa di importante. E partorisce la sua personalissima idea di “rivoluzione”. Che parte da un gesto semplice, ma ricchissimo di significato: un’esultanza.

Sono anni difficili per il Brasile, in balia dal ’64 di una dittatura militare che, partita con l’idea di ristabilire semplicemente l’ordine minato dalle proteste che si allargano a macchia d’olio nel Paese, finisce per affossare la democrazia. Il generale Figuereido, sulla scia degli altri Paesi dell’America Latina, mette in atto torture, violenze e repressioni di ogni sorta; inoltre, proprio come farà il suo omologo Videla in Argentina, sfrutta il trionfo verdeoro ai Mondiali di Messico ’70 come “macchina del consenso”. All’alba del ’79 il Brasile è in recessione, la dittatura sta affrontando gli ultimi anni della sua vita. Sòcrates, quando segna, alza il pugno al cielo, proprio come Tommy Smith e John Carlos omaggiano le Black Panthers sul podio olimpico di Città del Messico nel ’68.

È l’inizio della rivoluzione. Che, per natura, richiede tempo e circostanze favorevoli.

Nel 1981 il nuovo presidente del Corinthians è Waldemar Pires, che intende assecondare il progetto del numero 8 alvinegro : un nuovo modo di gestire la squadra, totalmente in mano ai giocatori. Il centro del campo, o lo spogliatoio dello stadio Pacaembu di San Paolo, diventano il luogo in cui si discute tutto in maniera democratica, dai moduli alla gestione finanziaria, dai menu agli stipendi, fino all’abolizione dei ritiri prepartita. Ogni singolo aspetto della vita di una squadra di calcio professionistica. Tutti votano: calciatori, dirigenti, presidente, magazzinieri. «Ogni cosa che riguarda la squadra deve essere votata. A ciascuno, un voto.». Ipse dixit, sic fuit. Ci sono altre due figure chiave dell’esperimento: una si chiama Adilson Monteiro Alves, un sociologo con l’aspetto da rockstar, che non ha mai giocato a calcio in vita sua ma che riesce a capire quali sono i giocatori più “politicizzati” del club e a gettare le basi, assieme a O Doutor, per la Democracia.

L’altra è l’allenatore Travaglini, che decide di mettere da parte la sua autorità per un bene più grande.

L’inizio non è dei migliori: l’ esperimento viene accusato subito da stampa e opinione pubblica di essere solo un modo per fumare erba e fare sesso liberamente con le ragazze; il regime lo vede come una minaccia ai suoi valori e alla sua stabilità, tanto che Figuereido organizza spedizioni punitive ai danni della squadra.

Fa persino spiare i giocatori dai servizi segreti. Spesso Sòcrates e Casagrande (un altro dei giocatori più influenti, che avrà un futuro nel Torino) vengono sottoposti ad estenuanti e pretestuosi interrogatori. Ma la Fiel e tutto il popolo corinthiano sono già dalla loro parte, è troppo tardi.

Perchè abbia successo e zittisca tutti, a Democracìa deve vincere. Risultato? No problem. Dal 1982 all’85 la squadra vince due titoli; ma, soprattutto, riesce a smuovere gli animi di una Nazione intorpidita dal regime. Durante le partite, i nuovi sponsor sulle maglie (che, in quegli anni, sono ancora un affronto alla purezza della divisa) del club alvinegro sono degli slogan: “Democracìa”, “Vogliamo votare il nostro Presidente”, “Diretas jà” (“Elezioni dirette”). E i tifosi gli fanno eco: “Libertà, con responsabilità”, “Vincere o perdere, ma sempre con democrazia”.

Sòcrates diventa non solo il leader e capitano del Corinthians ma, con il suo look da filosofo greco, anche di un Brasile ricco di talento (oltre a lui, Zico, Falcão, Cerezo, Dirceu) che si spegnerà ai Mondiali spagnoli dell’82 contro un’Italia presa per mano dal fato alla vittoria.



Nei suoi tre anni di vita la Democracia Corinthiana è il motore di una presa di coscienza popolare che, dal cerchio di centrocampo, si propaga sugli spalti del Pacaembu e arriva a tutto il Brasile. Finisce persino per minacciare l’ordine costituito della dittatura quando, al momento della vittoria del Paulistão dell’ ’83, il radiocronista Osmar Santos esulta cosi:

« Viva la Democracia Corinthiana, rivogliamo l’elezione del Presidente!!».

La gente scende in piazza a protestare, e questa è la battaglia cui Sòcrates dedica tutto sé stesso. La proposta di elezioni libere arriva in Parlamento e il numero 8 alvinegro annuncia che, se non dovesse passare, lascerà il Brasile. Il 25 Aprile 1984 quell’entusiasmo che aveva animato i brasiliani viene spento dal Parlamento, ma sarà solo il prodromo di una libertà che gli verrà riconosciuta quasi un anno dopo, il 15 Marzo 1985.

O Doutor, in ogni caso, mantiene fede alla sua promessa e va alla Fiorentina. Un’esperienza breve, incolore, in cui si sente avulso dal gioco e colleziona solo 6 reti in 25 presenze. Torna in Brasile, al Flamengo e al Santos, ma si ritira nel 1989.


Socrates e la Democracia Corinthiana in breve





La fine della storia

Torna a Ribeirão Preto, in mezzo alla sua gente, con la semplicità delle anime grandi. Finalmente ora può dedicarsi alla medicina: fonda il Medicine Sòcrates Center e, soprattutto, diventa il medico di chi ne ha bisogno. Lo fermano per strada, gli chiedono aiuto e lui lascia ciò che sta facendo per assistere chiunque. Nel frattempo, continua a bere al bar di rua São Sebastião, fumare e pensare, ma ha ancora un desiderio: morire di domenica dopo aver visto il Corinthians vincere. Si spegne a causa di una cirrosi epatica il 4 Dicembre 2011. Poche ore dopo, il Corinthians festeggia il suo quinto titolo.


Piccola nota finale: il soprannome più bello di Sòcrates non è “O Doutor da bola”. I brasiliani, con la poesia e l’enfasi che solo loro sanno mettere quando si parla di futebol, lo chiamavano “O calcanhar che a bola pediu a Deus”, “Il colpo di tacco che il pallone chiese a Dio”.


A cura di Mattia Crispino

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