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Immagine del redattoreLuca La Porta

MITO, VERITA’, UTOPIA

Il paletnologo Emmanuel Anati è l’autore del saggio intitolato “Mito. Tra utopia e verità”. Secondo Anati il mito è il risultato di un processo cognitivo che permette all’uomo di idealizzare la realtà, di creare utopie, cioè di operare una compensazione fantastica di ciò che riteniamo essere la verità.


Mito e verità

Per mito s’intende generalmente una narrazione fantastica, di carattere simbolico e sacrale, di gesta compiute da divinità, entità soprannaturali, antropomorfe o zoomorfe, che spiega l’origine della vita, della morte, degli elementi naturali o del mondo.

Cos’è allora la verità? Reale o immaginaria che sia, ciò che acquisiamo e identifichiamo come verità è il prodotto di un processo cognitivo articolato in più momenti (sensazione, sentimento, ragionamento, acquisizione, determinazione, definizione verbale, esternazione, espressione, comunicazione) dalla durata variabile (pochi istanti o centinaia di anni), che ha permesso all’Homo Sapiens di adattarsi all’ambiente esterno.

Anati osserva che questo processo non è necessariamente lineare ma può essere condizionato da interferenze emotive, allegorico-associative, di rigetto, mnesiche e altro.


L’uomo tende a fissare nella memoria le proprie verità e i propri giudizi, inevitabilmente viziati da interferenze, per trasmetterli alle generazioni future. È nella memoria che si formula, si matura e si trasmette il mito.

Sebbene la verità implica sempre un senso di accordo con la realtà, entrambi questi termini, verità e realtà, hanno una “oggettività soggettiva”: la verità è sempre relativa, sia perché può variare da persona a persona, da cultura a cultura, sia perché è tale soltanto in un determinato zeitgeist.


In un dato contesto socio-storico possono coesistere anche più verità. Oggi, ad esempio, sia nel mondo occidentale che nel mondo islamico, si scontrano due concezioni che si escludono reciprocamente: il creazionismo e l’evoluzionismo. Da un lato c’è chi ritiene che l’universo sia nato da una grande esplosione denominata “big bang” e che la vita e l’uomo siano il risultato di un processo evolutivo, dall’altro c’è chi sostiene che Dio abbia creato l’uomo, gli esseri viventi ecc… Se non si accettano le verità del creazionismo cosa ha prodotto il big bang? Com’è nata la vita? Se non si accetta la verità degli evoluzionisti cosa c’era prima del principio? Sia i miti dei creazionisti che quelli degli evoluzionisti hanno arricchito il sapere e hanno cercato e proposto soluzioni.


Mito e utopia

Tanto i miti antichi quanto i miti moderni rispondono all’esigenza umana d’idealizzare, tendono a creare “verità alternative” o “immaginarie” che danno luogo all’utopia.

Paese ideale, realtà ideale o destino ideale, verità ambita o alternativa, l’utopia è una molla che spinge all’azione, è ciò che l’uomo ambisce da sempre più di ogni cosa.


Il XX secolo è stato attraversato da utopie che hanno animato profondamente la politica e la società, stravolgendo il sistema o determinando violenze e traumi. L’utopia è degenerata così in integralismo utopico. Anati sostiene che alcune culture, in base ai loro miti, alle loro verità e alle loro utopie, favoriscano più di altre il propagarsi dell’integralismo, ossia quella dottrina che tende a considerare la propria verità come l’unica possibile, celebrando i propri adepti come martiri, campioni o eroi, e rifiutando qualsiasi dialogo con gli estranei in quanto infedeli, eretici o nemici ecc…


L’utopia non è un’invenzione recente, ma è un retaggio comune a tutti i popoli della terra. I miti di origine dei popoli di tutti i continenti tendono a vedere il presente come sospeso tra una preistoria mitica – il giardino dell’Eden, l’età dell’Oro, l’Epoca dei Sogni degli aborigeni australiani – e l’utopia del futuro, ossia il paradiso di un mondo dell’aldilà, in cui l’uomo realizzerà la “comunità del domani”. Secondo i paletnologi i miti di origine erano patrimonio comune dell’umanità forse già nella primordiale terra d’origine, che si presume in Africa o in Medio Oriente, prima della grande diaspora, la disseminazione dell’Homo Sapiens, avvenuta tra 200.000 e 100.000 anni fa. Questo grande esodo, che rivive nella memoria collettiva del mito, portò l’uomo a raggiungere i più reconditi angoli della Terra. In tutte le versioni di questo mito, dall’Esodo degli Ebrei a quello Amerindi delle pianure o degli Eschimesi del Canada del nord, viene evocato costantemente l’archetipo della “Terra Promessa”. Sia il concetto di Terra delle Origini che quello di Terra Promessa idealizzano il concetto utopico di terra ideale, la nostalgia per la terra delle origini e l’attesa della conclusione del viaggio infinito dell’umanità.


Nel corso del tempo la mente umana ha raccolto, unificato, condensato, schematizzato e poi idealizzato le analogie di eventi impressi nella memoria collettiva. Si tratta di un processo cognitivo di sintesi che la mitologia comparata mostra essere ricorrente. Ciò spiega perché i miti di popoli lontani geograficamente, o vissuti in epoche diverse, presentano sorprendenti analogie.


I miti moderni, ad esempio, hanno conservato il ricordo della grande migrazione dell’Homo sapiens fino a recenti manifestazioni, come la “Grande Marcia” di Mao Tse-Tung quale atto che ha condotto alla nascita della repubblica popolare cinese, o la “Marcia su Roma”, atto fondante del regime fascista in Italia.


Mito, morte e utopia

Per l’uomo l’utopia non è soltanto l’idea di una realtà alternativa, ma anche un modo per eufemizzare la morte. Cosa succede dopo la morte? Dove va l’energia quando abbandona il corpo? Secondo i miti di molti popoli l’energia si rifugia nel regno dei morti nell’attesa di reincarnarsi. Il concetto dell’immortalità dell’anima esiste almeno da 70.000 anni, ma ciò di per sé non è una conferma di verità.

Molti miti parlano di un aldilà che, secondo i casi, può essere collocato in cielo, nel mare, sotto terra, nel cuore delle rocce, sulla luna ecc… Si costruiscono così mitologie che comprendono anche una topografia dell’aldilà, dove ognuno ha il posto che si merita, tra i “buoni” o i “cattivi”, e talvolta anche in base al proprio rango terreno. Per certi popoli, gli eroi, i re o i martiri hanno paradisi a parte.

Nei miti d’origine, così come nelle visioni del paradiso o di altri tipi di aldilà, l’utopia non è nient’altro che il rovescio della medaglia di ciò che chiamiamo verità. É soltanto il nostro pragmatismo che ci impedisce di accettarla come tale.


Utopia del presente

L’utopia ha anche il potere di cancellare le preoccupazioni e i problemi che l’uomo affronta nel corso della vita quotidiana. Accanto all’utopia del paradiso dei primordi, a quella della terra promessa, cioè al paradiso atteso in questo mondo o nell’aldilà, nascono le utopie del presente: ecco allora il mito della valle felice dell’eterna giovinezza, la Shangri-La, dove non si invecchia mai, dove tutto è armonia, dove il bel sesso e il cibo abbondano, dove tutto è di tutti, dove la vita è serena e tutti gli appetiti sono saziati.

Esistono, inoltre, due fondamentali tipologie di utopia del presente. Da un lato si ha l’utopia di gruppo: il sogno dell’isola o della valle felice, della “Terra Promessa”; dall’altro l’utopia privata, l’utopia della vocazione, dei sogni individuali, del successo, della “vita utopica”.


Nella mitologia occidentale i profeti rappresentano l’unione di questi due tipi di utopia: la vita utopica del profeta è il mezzo per raggiungere l’utopia sociale, ossia per raggiungere la Shangri-La, la valle felice dell’eterna giovinezza. L’utopia dei profeti implica l’isolamento, la solitudine, la lotta costante contro un destino avverso. Il deserto, ad esempio, è una tappa obbligata per il profeta (Mosè, Cristo, Maometto), poiché è il luogo di contatto con il mistero, il crinale tra il tempo della rivelazione individuale che avviene nella solitudine e il tempo della rivelazione sociale che avviene tra le moltitudini. Il destino è spesso nemico di utopia, la lotta tra i due è spesso incerta, poiché l’uno vince nella veglia, l’altra nei sogni: sono due facce della realtà, o della stessa verità, che si alternano.

Il mito è memoria collettiva, è fonte d’identità che ispira da sempre l’immaginazione e la creatività. Oggi viviamo in un periodo di grandi cambiamenti e di smarrimento, in cui come scrive Anati, «vengono a mancare i valori, cadono le ideologie, la fede manca di fede, la società manca di sociale, l’uomo manca di umano e purtroppo anche, sovente, la verità manca di verità» ciò perché si tende a demistificare il mito.


Già negli anni sessanta del XX secolo, l’antropologo Gilbert Durand aveva avvertito:

«Voler demistificare la coscienza mi sembra un’impresa suprema di mistificazione e costituisce l’antinomia fondamentale: si tratterebbe infatti di uno sforzo immaginario per ridurre l’individuo umano a una cosa semplice, inimmaginabile, perfettamente determinata, incapace di immaginazione e aliena alla speranza. La poesia come il mito è inalienabile.»

In una società senza miti o utopie rischiano di venire meno quelle valvole di sfogo dell’immaginario che sono il luogo della memoria, della consolazione, della speranza e delle emozioni: del resto, non vi sono verità eterne o universali e anche la nuda verità è opinabile.




Immagine in copertina: Tommaso Serra, "Masque dakarois". 2018. Acrilico su tela.



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