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LETTERE A BRUNA: l’amore senile di Giuseppe Ungaretti

  • Immagine del redattore: Laura Patti
    Laura Patti
  • 15 giu 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 3 gen 2021

Agosto del 1966.

Il settantottenne Giuseppe Ungaretti è in procinto di imbarcarsi dal porto di Genova verso San Paolo, in Brasile, dove è stato invitato a tenere una serie di conferenze e letture poetiche. Nonostante la veneranda età, il poeta è avvezzo a questi lunghi viaggi, dato che la sua presenza e la sua testimonianza poetica sono richieste in ogni parte del mondo.

Il destino dello scrittore era già stato legato, in passato, al Brasile: Ungaretti aveva lavorato dal 1937 al 1942 come insegnante di letteratura italiana presso l’università di San Paolo. Nella metropoli brasiliana, lui che nella vita aveva già sperimentato il dolore e il lutto della guerra sulla propria pelle, conosce uno degli eventi più strazianti della vita: la morte del figlio Antonietto, di soli nove anni, per un’appendicite mal curata. La lunga traversata transoceanica non sarà quindi dettata soltanto da motivi divulgativi, ma anche dal desiderio di rivedere la tomba del figlio.

Una volta in terra brasiliana, il poeta comincerà a tenere le sue celebri conferenze e letture poetiche, accolto con entusiasmo dal mondo accademico brasiliano. L’accoglienza fu trionfale: al termine di ogni incontro, Ungaretti veniva circondato da un folto nugolo di appassionati. Qualcuno si avvicinava per conoscerlo, qualcuno per complimentarsi, altri per affidargli la lettura di qualche scritto inedito.

Sarà proprio in quel luogo, San Paolo, legato ad un profondo e antico dolore, che Ungaretti, paradossalmente, riscoprirà e rinnoverà i sentimenti amorosi della giovinezza, attraverso l’inattesa figura di una giovane e sconosciuta poetessa in rampa di lancio, Bruna Bianco, italiana di venticinque anni, trasferitasi in Sud America da una decina di anni. Bruna appartiene ad un’agiata famiglia, è laureata in giurisprudenza e lavora presso l'azienda vinicola paterna.

La giovane, però, possiede una genuina inclinazione verso la scrittura, e approfitta di quell’irripetibile occasione per offrire timidamente i propri versi al poeta, intrufolandosi per caso in un pezzo di storia della letteratura italiana. Ungaretti esamina i versi ricevuti dalla giovane donna e ne ricava un’impressione positiva. In special modo rimane particolarmente colpito dal portamento e dalla grazia della ragazza, che reagisce così naturalmente e spontaneamente di fronte all’interesse di un uomo più vecchio di lei di ben cinquantadue anni.

Questa donna, spigliata, di bell’aspetto, entusiasta, costituirà il nucleo più significativo degli ultimi anni di vita di Ungaretti, letteralmente sconvolto da una passione che lo riporterà ad un’adolescenza mitica, una vera e propria seconda giovinezza che, attraverso un lungo epistolario di più di quattrocento lettere, diventerà una delle più belle testimonianze culturali del Novecento.

La loro folle vicenda amorosa sarà capace di traversare e ritraversare l’oceano per un arco temporale di poco più di due anni e mezzo, al cui interno ci sarà spazio per qualche sporadico incontro fisico. Un amore che, per la sua natura di bizzarrìa, è portato a sfidare i chilometri, il tempo, ma soprattutto i giudizi morali di una società borghese sempre pronta a scandalizzarsi, anche se il poeta pare non curarsene, con la sfrontatezza di un uomo resuscitato alla vita.

Il leitmotiv principale del lungo carteggio è, naturalmente, la poesia. Durante il lungo viaggio di ritorno in Italia, Ungaretti ha potuto rileggere gli scritti di Bruna e vi ha scorto un buon potenziale, una scrittura solida e ricca. I versi di questa ragazza gli paiono meritevoli di venir elogiati e assistiti tramite approfonditi consigli che il grande poeta si offre di donarle, configurandosi come il maestro di lingua e stile della giovane allieva. Ungaretti esercita a vantaggio della ragazza il proprio magistero di lingua e di scrittura, dispensandole il succo della propria lunghissima esperienza poetica.

Il carteggio non tratta, però, solo di versi e di poesia, ma anche della tematica amorosa. E’ l’amore che domina da un capo all’altro la vicenda: Ungaretti non impiega mezzi termini, si espone e dichiara in maniera più sincera possibile i propri sentimenti alla giovane donna. “Certo, Bruna, che t’amo, e con quale smisurata demenza, le scrive il 28 settembre del 1966, pochi giorni dopo il suo ritorno in patria. Anche Bruna, lungi dall’essere solamente una musa silenziosa che si lascia cantare, è folgorata dalla figura del poeta. Come dirà in un’intervista recente, rivolgendosi all’interlocutore:

Ha presente quella carta anti mosche che si usava un tempo? Io ero come una mosca, appiccicata alla carta di un amore venuto fuori con una forza inarginabile, un amore fatto di mani, la parte più sensuale di quell’uomo”.

Il sentimento amoroso provato da Ungaretti per l’aspirante poetessa è definito fin da subito come una sottospecie di follia, un gesto inebetito causato dalla vecchiaia egoista. Ungaretti è consapevole di trovarsi di fronte ad un amore inconsueto, irrealizzabile, assurdo, a causa dell’enorme differenza d’età, a causa della lunghissima distanza geografica e a causa, soprattutto, del decadimento fisico che lo colpisce inesorabilmente giorno dopo giorno. E’ un amore senile, “demente”, eppure l’improvvisa infatuazione dona vigore e giovinezza alle vecchie membra del poeta:

“L’amarti mi fa bene, e credo che non sia frequente che uno ami, come Ti amo. […] e so che t’amo, e che, anche con gli anni che mi pesano, amare può essere assurdità, ma è luce, luce.” E ancora: “Mi hai rinnovato. Mi hai dato la possibilità di lavorare ancora con gioia. Mi dai di continuo luce, una luce che m’illumina e mi riscalda l’anima e che non sapevo che potesse esistere sulla terra”.

Il carteggio si fonda su questa dolorosa dicotomia tra giovinezza e vecchiaia. L’amour fou verso Bruna ringiovanisce l’animo del vate, gli offre la possibilità di amare con la stessa enfasi un po’ folle di un’adolescente e porta al contempo vigore anche alla sua produzione: “M’è rinata nel cuore la poesia”. Da una parte, addirittura, la passione amorosa sembra annullare improvvisamente ogni differenza anagrafica: ”Non ho più anni, sono senza età, sono soltanto questo tuo fuoco divorante che hai comunicato al mio essere”. Eppure Ungaretti sente il peso dell’irragionevolezza di tale relazione, sente il fardello degli anni che trascorrono e soprattutto crede di ingannare la giovane Bruna, togliendole l’opportunità di vivere un amore più consono alle rigide regole della società e della sua età:

“Mi guardo allo specchio, vedo il mio viso avvizzito e mi sento colpevole di un grande errore. Perché è nato in te, ho mosso in te l’inganno di amarmi? Perché coltivo in me la colpa di amarti? […] Quest’amore incredibile che è verità e inganno, che è consolazione come niun’altra sulla terra potrebbe essere ed è disperazione, che è per me sete di forza e vergogna di sentirmi tanto debole da non capire che non è più l’ora per me di tali sentimenti, ma l’ora d’una meditazione del tutto diversa. […] Ti bacio, perdonami l’audacia demente che ho di baciarti”.

A tratti la storia d’amore è vissuta dal poeta con un profondo senso di colpa che si traduce in una continua invocazione dell’affetto della donna e, contemporaneamente, in una richiesta di presa di coscienza. Il poeta sembra fluttuare tra momenti di estasi amorosa e lampi di presa di coscienza lucida:

Ti amo e non dovrei, t’amo ed è una colpa, t’amo ed è abuso di fiducia. […] Amore, amore, e piango nel dirtelo, e mi mordo le mani dalla disperazione: accorgiti che sono tanto vecchio”.

Questa sorta di seconda giovinezza porterà Ungaretti a un sentimento fortemente contrastante, una resurrezione emotiva sentita come un fuoco che arde incessantemente nel cuore, ma che sarà accompagnato a una continua paura che tutto questo velo cada, si scopra, e riveli la crudeltà di una situazione così fragile, così incostante. Il poeta, incalzato dallo scorrere del tempo e dai mesti pensieri della morte, accelera il percorso amoroso, donando se stesso come non aveva mai fatto prima in ottanta anni di vita. Eppure i dubbi riguardanti il tormento dell’età riemergono costantemente:

“C’è una difficoltà grave, gravissima, di carattere fisico. E’ insormontabile, purtroppo, per me. E’ dovuto alla mia troppo avanzata età. […] T’amo, ma non basta a superare quasi un secolo di logoramento del corpo.“

Si avverte una certa tendenza ad apparire più grande agli occhi di lei, ma di certo non è la propria gloria ch’egli vuol dimostrare di sé, ma una grande tenerezza che si traduce negli appellativi leziosi che inventa: “angelo mio, luce mia, ultima mia speranza, piccolina mia, anima mia, graziosa mia sovrana, dolce mia bambina intrepido amore”. Dolcezza e impetuosità s’intersecano all’interno dell’epistolario con la malinconia dell’inarrestabile fuga del tempo.

La storia d’amore tra l’ottantenne poeta e la ragazza di San Paolo si conclude bruscamente alla fine del 1969, per cause che i documenti epistolari non chiariscono abbastanza. Ungaretti morirà il primo giugno 1970 a Milano, all’età di ottantadue anni. Bruna Bianco, nel frattempo diventata un importante avvocato, conserverà gelosamente le lunghe lettere d’amore del poeta fino al 2015, anno in cui decide di consegnarle alla Fondazione Mondadori, che farà confluire il carteggio nel volume Lettere a Bruna, del 2017.

Bruna è stata una figura poetica, musa nel senso più classico del termine, incarnazione della giovinezza al cospetto del “poeta antico”. Ungaretti, all’interno del lungo epistolario, le racconta i suoi pensieri, gli incontri, le delusioni, commenta quadri, mostre e letture, allega prove poetiche e di traduzione, guida la giovane sul sentiero della poesia. Dal carteggio non affiora soltanto l’urgenza dell’amore, ma anche un autentico diario di una senilità unica nel suo genere, colma di progetti, memorie, viaggi, recensioni e relazioni umane. La sfaccettata personalità di Ungaretti, lungi dall’essere corrotta dalla vecchiaia, emerge spostandosi tra temi universali come amore e morte, forza salvifica dei sentimenti e la poesia come materia eternatrice, rendendo il suo messaggio molto più attuale di quello che possa sembrare ad una prima occhiata.

Le Lettere a Bruna offrono al lettore una visione intima di un uomo straordinario, che vive la propria vecchiaia con forza propositiva, e che combatte l’ineluttabile paura per la morte anche attraverso l’aiuto di una folle passione. Come dirà la stessa Bruna in un’intervista nel 2017, durante la presentazione del libro:

“Sono convinta che Ungaretti ha scritto queste lettere non solo per me, ma per tutti noi, perché la vitalità e il significato di ciò che scrive ha davvero un valore collettivo, alimentato dall’amore”.

Le citazioni di Bruna Bianco provengono dalla seguente intervista:

https://www.lastampa.it/cultura/2017/09/18/news/io-ultimo-amore-di-ungaretti-il-suo-fascino-era-irresistibile-1.34416721

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