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Immagine del redattoreDoriana Bruccoleri

La vita va'... a minchia

Nei futuri archivi digitali, nella sezione Italia, periodo 2020, argomento Covid-19 vi si troveranno milioni di foto, video, articoli, post, qualsiasi altro tipo di traccia digitale con allegato un hashtag:



Frase un po’ cringe resa ancora più cringe dagli arcobaleni. Un timido, superficiale, impacciato tentativo del governo italiano di rassicurare un’intera nazione caduta nel panico. Uno slogan, un esorcismo, un tocco di voodoo che sarebbe dovuto essere un modo per allontanare il baratro entro il quale la stessa frase "rassicurante" è inevitabilmente precipitata, spinta giù da una situazione divenuta sempre più insostenibile nella sua quotidianità. E non si intende la situazione del virus in sé e delle sue problematiche virali e mortali, ma dell’incapacità dello Stato italiano di gestire quest’ultime. Inutile fare elenchi (banchi con le rotelle!) perché le cose che non vanno sono sotto di tutti nei migliori dei casi o sulla propria pelle nei peggiori.


A un anno dalla sua nascita, cosa è rimasto di quell'hashtag sotto cui ci siamo tutti riparati raccattando speranza e un po’ di forza per mantenere almeno una briciola di ottimismo? Durante il primo lockdown lo vedevamo ovunque, nei balconi, nei post, in tv e poi? Anzi, e ora?


Uno striscione apparso da un balcone in provincia di Agrigento tira le somme dell’Italia di adesso rispondendo alla spaventata e speranzosa Italia di un anno fa: A MINCHIA FINI' – e arcobaleno.

Foto presa da: AGRIGENTONOTIZIE


Citazionismo su più livelli. Parole nere di vita che dicono tutto senza dire niente. Un’eloquente e disarmante semplicità comunicativa e arguta capacità di racchiudere uno stato d’animo nazionale che abbraccia però anche il mondo intero rimarcando, al contempo, uno spiccato regionalismo.


Mai come in quest’ultimo anno ci siamo ricordati delle nostre regioni. Mai come in quest’ultimo anno ci siamo ricordati che ci sono differenze abissali tra le regioni. Mai come in quest’ultimo anno gli spaparanzati impiegati regionali hanno dovuto mettersi a lavorare sul serio, con un carico di responsabilità non indifferente anche nel cercare di per arginare smanie napoleoniche di certi (sindaci di) comuni. Mai come in quest’ultimo anno ci siamo ricordati di essere una collettività, ma d’altro canto siamo stati costretti a farlo. Per sopravvivenza. Anche se, paradossalmente, è proprio nell’aggreggarsi (assembramento! Parola dell’anno assoluta, altro che resilienza) che il nemico pubblico Covid-19 realizza la sua missione contro l’umanità.


"A MINCHI FINì" ci ricorda di essere siciliani con un certo grado di fatalismo incorporato

Persino il sottoscritto progetto Todomodo è nato da un assembramento (ideale) ai fini di sopravvivenza (spirituale). Il primo articolo è stato l’emblematico Siamo tutti positivi, scritto in pieno lockdown ferreo in cui si tentava di coglierne gli aspetti positivi (il gioco di parole è ancora valido). Un messaggio di speranza a modo nostro. Sempre dalla redazione è Con gli occhi miei. Parole di un O.S.S. l’esperienza diretta di uno che tutta questa situazione l’ha vissuta e continua a viverla con i sui occhi e sulla pelle, e infine, Il nostro povero fatalismo che astrae al massimo assoluto i due macro punti di vista sulla vita e, di conseguenza, sul futuro e la pandemia globale: andrà tutto bene o finirà a schifìu?


Lo striscione siciliano conferma che il nostro caro fatalismo non ci abbandona mai e che, siccome siamo in Italia, ha ragione il più delle volte. La "sicilianità" di questo stendardo contemporaneo è infusa tutta nel meraviglioso e immortale "minchia", termine dall’ancestrale potere evocativo, ma, da un'ottica più ampia, si può notare un peculiare atteggiamento italico che travalica le differenze dialettali. Non si tratta di stereotipi, piuttosto di un qualcosa che è più forte di noi come il gesticolare mentre si parla.


S’intende la tendenza a unirsi tutti insieme nelle disgrazie assumendo una forma di teatralità così spiccatamente geniale e al contempo amara, da risultare spiazzante e trascendente alle disgrazie stesse. È il potere dell’ironia, ironizzare su tutto senza pietà anche in maniera volgare forse inopportuna, ma per questo efficace. Un “minchia!” è una boccata di aria fresca anche nelle situazioni peggiori. Di certo non è la parola in sé o l’idea dell’organo genitale maschile a farci ridere, bensì l’enfasi, l’espressione, il tono con cui viene pronunciata, tutto perfettamente calibrato alla situazione.


Una risata ci seppellirà tutti, altro che Coronavirus

Sigmund Freud considerava l’umorismo il più potente meccanismo di difesa. Una disamina psicoanalitica illustrerebbe in modo esaustivo e interessante le ragioni dietro una risata, ma non funzionale nel frangente di questo scritto che, invece, vorrebbe illustrare in modo per nulla esaustivo e si spera interessante le dinamiche italiane attuali. La storia meravigliosa di un popolo che continua a vivere seguendo il canovaccio della Commedia dell’Arte.

Ci si rifugia nelle risate per umanizzare la disgrazia, che, quando incombe, pare una punizione divina per cui diventa necessario prenderne le distanze per non soffocare dall'ansia. Trovare il lato ironico di ogni situazione e sicuramente una virtù se condivisa con e per gli altri, diviene un atto di pura empatia che aspira a creare un’atmosfera più vivibile per tutti, a smorzare la tensione, a unirsi.


Paradossalmente gli italiani sono dei veri maestri in questo come se un micidiale cocktail di tarallucci e vino ci scorresse nelle vene. Paradossalmente perché l’Italia è una nazione giovanissima (160 anni quest’anno, auguri) e molto spesso si è detto che siamo un popolo a cui manca il senso di unione, e probabilmente è vero. La storia della penisola è una storia di secolari frammentazioni e divisioni. Lo sviluppo economico e sociale dello Stato italiano negli ultimi 100 anni non ci racconta una storia diversa. La pandemia ha esacerbato il divario abissale tra le varie regioni - o più prosaicamente: tra Nord e Sud - ma questa sempreverde differenza và ben oltre l'attuale stato di emergenza.


Tuttavia, quando si scorge all’orizzonte un pericolo più grande di noi, un male che travalica i confini regionali, politici, sociali – una calamità, una piaga d'Egitto, una carbonara fatta male – ecco che diventiamo tutti amici e fratelli. E lo si vuole per davvero! Non è finzione e tantomeno falsità, piuttosto è l’unica modalità che abbiamo imparato per legarci, sentirci parte di un gruppo e non isole - o regioni a statuto autonomo.


L’Italia si fa davvero Italia, popolo, nazione, Paese solo durante il brutto tempo, ovvero nel momento in cui si avverte il bisogno quasi fisiologico di farsi una risata tutti insieme per non cadere dentro il buco nero della disperazione in cui, in realtà, dovremmo buttarci a capofitto per tutte le assurdità che in Italia viviamo - Coronavirus a parte.

Si parla della situazione economica e sociale italiana. Terribile. Ai confini della realtà europea. Oltre a essere indietro anni luce su pressocché qualsiasi ambito, la corruzione (morale e non) divora l’Italia dall’interno. Zero opportunità, solo opportunismo. La demagogia e l’incompetenza politica sono lo specchio riflesso di un Paese teatro dell’assurdo e dei suoi spettatori che in realtà dovrebbero essere gli attori. Attori di grande talento, ma che non si applicano. È difficile applicarsi e agire, tanto tutto và com’è sempre andato e ciò che è nuovo poi diventa abitudine e quando le cose si fanno troppo brutte, meglio riderci sù.

Un circolo vizioso da cui nascono i meme migliori. Sono bellissimi i meme, salvano le giornate, la vita. Ci servono per sopravvivere. Una risata ci salverà tutti... o ci seppellirà? In fin dei conti, si ride per evitare una riflessione che ci farebbe troppo male o non riusciamo a far fronte ai problemi perché siamo troppo impegnati a farci i meme senza coglierne la gravità? L'Italia è davvero una sitcom, bisogna dare ragione a Willie Peyote almeno su questo. Una distopica commedia dell'arte con influenze da reality: un Truman Show, ma trash. Condotto dalla Gialappa’s Band insieme a Maria De Filippi. Accussì, a minchia propriu.


Io, comunque, ho sempre trovato speciali le persone che con una battuta fanno sentire meglio tutti, anche solo per tre secondi. Vorrei esserne capace io, quindi grazie a tutti voi simpatici. Un sincero grazie da parte di un’introversa che sente il peso del mondo gravare sulle sue spalle disgraziate. Grazie per ogni “minchia!” detto nel momento giusto e che ha fatto ridere quella persona silenziosa dall’aria cupa nell’angolo della stanza. Possibilmente le avete migliorato la giornata. Continuate così, sempre, in qualunque situazione. Tanto, alla fine, è proprio la vita che và a minchia.


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