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L’importanza delle storie e di chi le racconta

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 8 feb 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Qualche giorno fa mi è capitato per le mani un libro, L’istinto di narrare di Jonathan Gottschall, che tratta dell’importanza delle storie per l’essere umano. L’obiettivo del libro, che affronta i vari argomenti in maniera piuttosto divulgativa pur facendo poggiare le sue affermazioni su basi scientifiche, è quello di far capire in che modo la realtà quotidiana nella quale tutti noi ci troviamo sia permeata dalla finzione.


Non è fruizione di storie soltanto la visione di un film, la lettura di un libro o qualcuno che ci racconta la sua giornata, ma anche i concetti di nazione, religione, cultura e folklore si fondano su delle narrazioni più o meno condivisibili. Tutto questo non sembra finire nemmeno nella fase del riposo, dato che anche durante il sonno il nostro cervello elabora delle storie che solitamente finisce per dimenticare, i sogni.


E la vita stessa non è altro che una lunga, continua narrazione, dal momento che il passato non esiste più ed il

futuro non esiste ancora, ma lo immaginiamo basandoci su tutta una serie di calcoli probabilistici (anche se

poi basta una pandemia per far sfumare tutto il futuro che ci eravamo immaginati).

L’importanza delle storie e di chi le racconta
Lo scrittore-scienziato Isaac Asimov, autore di storie di fantascienza

L'argomentazione del libro dalla quale vorrei partire riguarda l’importanza della narrazione al fine di mantenere un equilibrio mentale che ci permetta di andare avanti con la vita. Pensandoci nella nostra testa noi narriamo continuamente, tutti i giorni, tutto il giorno in maniera interminabile. La nostra capacità di controllo su questa narrazione è relativa: talvolta ci scontriamo con la voce della ragione, talvolta fingiamo di non sentirla ed altre volte ancora la ascoltiamo prendendo per buone le sue parole.

L’importanza delle storie e di chi le racconta

Ecco, va ricordato che essa non sempre ci parla allo stesso modo: nei momenti bui, dopo cioè una delusione o una sconfitta di qualche tipo, questa narrazione dipingerà il mondo che ci circonda o noi stessi in maniera negativa. Gottschall afferma che le persone depresse sono quelle che riescono a vedere con maggiore lucidità la loro condizione e il loro essere mediocri. Non hanno niente di speciale che li contraddistingua dalla massa e ne sono terribilmente consapevoli, a differenza di tutti gli altri. Penso che molti di noi si siano trovati nella stessa situazione almeno una volta.


Al contrario, nei momenti in cui il nostro umore migliora mettiamo da parte questa nostra intrinseca insignificanza, attribuendoci dei valori distintivi che ci rendano unici, diversi, importanti. Magari ci si sentirà più intelligenti, più attraenti, più colti, più ricchi o in ogni caso più bravi degli altri nel fare qualcosa.





Come dice il filosofo William Hirstein, citato da Gottschall:

La verità è deprimente. Siamo destinati a morire, più probabilmente dopo una malattia; altrettanto vale per tutti i nostri amici; siamo minuscoli punti insignificanti su un minuscolo pianeta. […] è necessario che vi sia, nel quadro generale, una negazione di fondo della nostra finitezza e insignificanza. Ci vuole una certa dose di impudenza anche solo per alzarsi dal letto ogni mattina (Hirstein, Brain-Fiction, p. 237)

Lo psicologo Michele Crossley rivela che spesso la depressione deriva da «un resoconto narrativo di sé stessi inadeguato». (Crossley, Introducing Narrative Psychology, p. 57) Insomma, anziché immaginarsi come una rockstar con uno sfolgorante successo che lo aspetta, ci si immagina più come un inetto sveviano, la cui condizione già deludente non farà altro che peggiorare.


Ovviamente non si intende qui suggerire che la cura della depressione sia immaginarsi come degli eroi epici, piuttosto far leva sulla mistificazione dell’immagine di noi stessi al fine di sopravvivere alla freddezza del mondo. In poche parole, si tratterebbe di trovare qualcosa che ci possa spingere ad andare avanti nonostante tutto; trovare la fiamma dell’ispirazione che ci porti a mettere da parte l’idea che “in fondo la vita non è altro che questo scorrere lento verso la morte” ma che ci faccia iniziare a pensare di stare sfruttando al meglio il tempo che ci è concesso, facendo qualcosa che, al tempo stesso, ci appaghi e ci renda “unici”.


Al contrario, non trovare la propria fonte d’ispirazione non condanna all’assenza di senso come si potrebbe pensare; ma piuttosto all’accettazione della visione del mondo e dei valori di qualcun altro, cosa che ci condannerebbe all’infelicità.


L’importanza delle storie e di chi le racconta

La narrativa, in questo senso, rappresenta un pozzo senza fondo di esempi da seguire e filosofie di vita da adottare. Sono innumerevoli gli strumenti che può fornire per affrontare al meglio la vita ed attribuirle un valido, personale significato. Il ruolo dell’immaginazione e delle storie che ne rappresentano i frutti, è quindi sostanzialmente quello di permetterci di sopravvivere. La narrativa è un meccanismo di difesa dalla ruvidezza del mondo in cui la nostra quotidianità non è sempre in grado di farci vivere le avventure che vorremmo.

A questo proposito, Gottschall riporta:

La tradizione letteraria occidentale, a quanto sembra, è stata dominata da un dolente assortimento di alcolizzati, giocatori compulsivi, maniaco-depressi, predatori sessuali e varie e sventurate combinazioni di due, tre o anche tutte le suddette caratteristiche. (Brooke Allen, Artistic License, p. IX)

Viene a questo punto da chiedersi se ci sia un nesso tra le due cose: gli scrittori sono davvero più avvezzi degli altri a queste tentazioni? La ricerca di sensazioni forti è dovuta alla loro sete di emozioni e stimoli, che quindi li spinge a optare per le droghe piuttosto che per la caccia ai pirati? Vi è un nesso tra questi comportamenti e la loro ricerca di evasione attraverso le storie che raccontano? Domande per le quali occorrerebbe studio più approfondito. Ciò non toglie che le storie da loro raccontate ci rimangano impresse per i loro personaggi fuori dal comune, per le vicende improbabili e per le folli avventure: esperienze che potrebbero davvero aver vissuto durante la loro vita e dalle quali avrebbero tratto ispirazione. Lovecraft, giusto per fare un esempio, ha creato il mito di Chtulhu partendo dai sogni terrificanti che faceva da piccolo, dovuti ai suoi lunghi stati di malattia e a delle paralisi del sonno che lo portavano a “vivere” i suoi incubi in maniera così vivida.


Insomma, noi esistiamo. E, in fondo, non c’è un motivo. Sta a ciascuno di noi trovare il senso alla propria esistenza.


E' proprio per questo che non si può prescindere da poeti e scrittori, registi, pittori, artisti e visionari in genere, che ci aiutano con le loro storie a dare una forma al mondo e un senso alle nostre vite.


A cura di Luca La Porta.


Immagine in copertina: illustrazione di Byron Eggenschwiler


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