In un alternativo 2005 vive Andrew Martin, un robot positronico che vorrebbe diventare umano. L’uomo bicentenario è un film del 1999 diretto da Chris Columbus, tratto da un racconto dello scienziato Isaac Asimov che narra dell’umanità come meta e non come passaggio. Il robot, interpretato da Robin Williams, viene acquistato da una famiglia per svolgere le attività domestiche, ma ben presto inizia a sviluppare sentimenti, reazioni e pensieri umani, e per questo, arriva a confrontarsi con la propria natura e la propria identità.
Un Pinocchio fatto di acciaio e circuiti che, resosi conto della sua diversità, affronta un percorso di formazione che non sembra a tutti così necessario: quello verso lo status di essere umano che gli permetterà di amare la sua “Piccola Miss”.
La storia si dà a una lettura antroprocentrica poiché tutta la trama ruota al concetto di uomo e di umanità. Forse la deriva del film è un po’ troppo romantica e stucchevole da far pensare che voglia trasmettere una certa superiorità emozionale dell’uomo rispetto alla “fredda” intelligenza artificiale, ma, il punto focale del dramma di Andrew è, piuttosto quello del libero arbitrio, la necessità e facoltà di scegliere non solo la propria natura, ma anche il tempo da trascorrere al mondo.
La questione dell’identità – umana o artificiale che sia – è al centro di tutto e si lega a un percorso inverso, quello del Transumanesimo, un movimento culturale che si basa sui principi teorici del Postumanesimo e che sostiene l’uso delle tecnologie per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti “negativi” della condizione umana, come la malattia e l’invecchiamento.
La vicenda del robot Andrew è diametralmente opposta a quella (reale) di Neil Harbisson e Moon Ribas, esponenti della manifestazione più estrema del Transumanesimo: la Cyborg art.
Cyborg Art
La Cyborg Art, detta anche Cyborgism, è un movimento artistico iniziato a metà degli anni Duemila in Gran Bretagna, da parte di artisti i cui sensi sono aumentati – di quantità o di qualità – tramite impianti cibernetici, veri e propri innesti biomeccanici. Gli artisti in questione hanno rinnegato e rinunciato per sempre alla loro identità biologica di essere umani, per indentificarsi come cyborg.
È il caso di Neil Harbisson, artista e attivista cyborg, riconosciuto ufficialmente come tale dal governo spagnolo e inglese, fondatore insieme ad un’altra artista, Moon Ribas, della Cyborg Foundation (2010) un’organizzazione che mira ad aiutare gli esseri umani a diventare cyborg, a difenderne i diritti e promuovere il cyborgismo come un movimento sociale e artistico.
E dire che Andrew Martin ci mise ben 200 anni per farsi considerare un umano a tutti gli effetti dal Congresso Mondiale, ma quelli erano altri tempi.
Neil Harbisson sente i colori
Neil Harbisson (Londra, 19892) ha un’antenna, l'Eyeborg, impiantata nel cranio che gli permette di percepire colori visibili e invisibili come infrarossi e ultravioletti tramite onde sonore, essendo nato con una malattia che non gli permette di vederli.
È impossibile ignorare l’esistenza del colore specialmente quando non puoi vederlo. Il motivo per cui ho scelto di sentire i colori è che i colori sono elementi sociali: ma non voglio cambiare la natura in bianco e nero della mia vita.
L’antenna, inoltre, gli consente di ricevere i colori dello spazio, immagini, video, musica o telefonate direttamente nella testa. La tecnologia del sensore si basa sull’intuizione di Sir Isaac Newton sul suono e il colore, entrambi frequenze.
Non volevo indossare la tecnologia, volevo diventare tecnologia. Mi sono rivolto a un comitato etico e hanno rifiutato la mia richiesta di impiantare un’antenna nel cranio. Ho dovuto quindi cercare un medico che, coperto dall’anonimato, accettasse di fare l’operazione.
Neil Harbisson sfrutta i suoi poteri transumani a favore dell’arte, realizzando opere che esaminano la relazione tra colore e suono, oltrepassando i confini della percezione umana, in una continua esplorazione dell’uso artistico delle estensioni sensoriali.
Sound Portraits (Ritratti dei suoni) è una performance tenuta nel 2011 alla Art Night di Venezia. Come in ogni aspetto della sua arte, Harbisson si concentra sulla relazione tra colore e suono e tra esseri umani e colore.
I Sound Portraits consistono in ritratti sonori, possibili ascoltando i colori dei volti. Ogni viso crea un accordo diverso di microtoni a seconda dei colori. Per creare un ritratto sonoro, l’artista si pone di fronte alla persona, punta il suo eyeborg sul viso e scrive le note su una speciale carta a 360 linee.
Moon Ribas sente i terremoti
Altra cyborg artista è la sopracitata Moon Ribas, una coreografa contemporanea catalana. E’ laureata in coreografia presso il Dartington College of Arts e ha studiato presso la Theatre school of Amsterdam. Dal 2007 sperimenta diversi dispositivi di cibernetica che le permettono di percepire il movimento in modo più profondo. Ciò a cui puntava Moon era lo sviluppo del senso sismico: percepire il movimento di terremoti di tutto il mondo in tempo reale. Questo le è reso possibile da un impianto nel braccio sinistro.
Indissolubilmente legata al movimento, la sua arte è essenzialmente performativa.
Waiting for Earthquakes (Aspettando i terremoti) è una sua performance svolta nel 2014 basata su di un semplice concetto: ogni terremoto percepito darà il via alla danza, dunque niente terremoti, niente ballo. Il suo prossimo progetto, ha rivelato l’artista, sarà quello di ballare secondo i movimenti della Luna.
L’arte del Superuomo
La Cyborg Art porta alle estreme (e più impensabili fino a qualche tempo fa) conseguenze l’entusiasmo futurista: l’esaltazione della macchina si trasforma in identificazione con la macchina.
Non più essere umani, ma qualcosa in più: una via di mezzo tra uomo e macchina, un essere perfetto. Un Superuomo? Il Superuomo di cui parlava Nietzsche non era forse colui libero di esprimere la propria essenza libero dai vincoli dell’apollineo, riscoprendo il suo carattere dionisiaco?
Allora, la Cyborg Art – e l’arte transumana o Post-Human Art in generale - non sarebbe altro che libera espressione resa possibile dalla tecnologia, la quale è il mezzo, e non il fine. Attraverso essa l’uomo cerca di ritrovare il vero sé stesso, grazie a nuovi sensi che lo portano a un contatto più profondo con l’ambiente in cui vive, con la natura, con gli oggetti, con tutto ciò che da sempre si è considerato ‘’non umano’’. Se intesa in questo modo, l’arte postumana non è un concetto del tutto nuovo… è solo un nuovo nome, semmai. Innovativo e inedito è invece il mezzo che permette tutto ciò: la biotecnologia.
L’arte contemporanea è stata sempre molto legata alle nuove tecnologie, come dimostrano le esperienze artistiche degli ultimi decenni del XX secolo (Videoarte, Net Art, Digital Art) incentrate soprattutto sull’audiovideo e l’informatica. Adesso, però, l’asticella si è inevitabilmente alzata con l’entrata in gioco di altri tipi di teconlogie avanzate della bioingegneria, ingegneria genetica, chirurgia plastica, robotica – a oggi sempre più sviluppate.
I percorsi di Neil Harbisson e Moon Ribas possono considerarsi un’esasperata ricerca di identificazione con una realtà nuova, quella ipertecnologica, nella quale, il corpo naturale, superato e inadatto si adegua artificializzandosi.
La Post-Human Art è il tentativo di un avvio di dialogo tra arte e scienza, seppure in termini apocalittici e in alcuni casi dichiaratamente truci e inquietanti – comprensibile il timore di una mutazione (mostruosa?) della specie – ma anche delle emozioni e delle fantasie dell'uomo, senza limiti né confini. Parlando di arte si finisce sempre per parlare della libera volontà di espressione dell'anima, che, in questo caso, la tecnologia potrebbe assecondare e potenziare.
Immagine in copertina: "The Third Hand" performance dell'artista francese Stelarc alla Maki Gallery di Tokyo, 22 maggio 1982
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