top of page
Cerca
Immagine del redattoreLuca La Porta

ANICONISMO E ASTRAZIONE

C’è un luogo nel cuore dell’Africa, sospeso tra passato e presente, in cui la natura e i suoi elementi sembrano avere un’anima. Questo luogo è il Senegal, un paese in via di sviluppo e in costante trasformazione, dove ha operato a lungo Tommaso Serra, artista originario di Palermo, soggiornando sia nella capitale Dakar, importante centro economico e culturale dell’Africa Occidentale, che a Cap Skirring, nel sud del paese.


Feticcio africano

A Cap Skirring, nella Casamance, sopravvivono forme arcaiche di animismo, ossia un insieme di credenze che attribuiscono un’anima, non soltanto all’uomo, ma anche agli animali, alle montagne, alle colline, ai fiumi, alle rocce e a particolari oggetti. Ancora oggi gli abitanti della Casamance, così come altre popolazioni dell’Africa Occidentale, ritengono che alcuni oggetti - per la loro particolare forma, colore, lavorazione - possano diventare manifestazioni del sacro o un mezzo per la sua rivelazione: si tratta dei feticci, oggetti raffiguranti le divinità dei cosiddetti culti vodu, cui i devoti si rivolgono con preghiere, voti, offerte e sacrifici. Tuttavia le divinità vodu raramente sono raffigurate in forma umana; il più delle volte si presentificano in immagini aniconiche come pilastri, cumuli di terra e oggetti di varia natura.


L’animismo, prima di essere una religione è una serie di cose - i feticci - dotate di un potere simbolico che lega tra loro il dio che esse rappresentano, il suo sacerdote (feticheur) e quanti si rivolgono a lui. L’antropologo Alfred Gell ha dimostrato che nei rituali animisti è l’oggetto a svolgere un ruolo attivo nell’interazione con il soggetto: i feticci esercitano sui devoti un’agency (agentività), che ne condiziona inevitabilmente gli stati d’animo, le rappresentazioni mentali e le azioni.


Affascinato da tali culti, in cui materiali inerti e inanimati, investiti di agency, rappresentano il tramite significante di un rapporto privilegiato con il divino, Serra si avvale di qualsiasi tipo di immagine, oggetto o materiale che possa evocare ciò che lo storico delle religioni Rudolf Otto ha definito numinoso: "un'esperienza o un sentimento non razionale e non sensoriale il cui oggetto primario e immediato è al di fuori del sé”, oltre la sfera del visibile e dell’intelligibile. Le atmosfere selvagge e i riti tribali della Casamance hanno ispirato all’artista una serie di polimaterici, da lui stesso definiti aniconici, dove accanto a ready-mades, costituiti da oggetti apotropaici che contraddistinguono i culti vodu - cocci di terracotta, piume di volatili, feticci, amuleti - compaiono sia oggetti di uso quotidiano, come carte da imballaggio e garze, sia numeri, lettere, frammenti di frasi decontestualizzate tratte da manifesti pubblicitari, allo scopo di creare cortocircuiti semantici per disorientare lo spettatore e accentuare l’aura di mistero dell’opera.


Tommaso Serra, "Senza Titolo", 2022


Se è vero che gli idoli e i feticci aniconici sono rappresentazioni di spiriti che non hanno alcun aspetto o ne hanno uno arbitrario, l’aniconismo, o piuttosto l’astrazione, dei polimaterici di Serra, può essere interpretato come il tentativo di rendere visibile una presenza invisibile, che non può essere rappresentata perché altro da ciò che è rappresentabile.


Dal punto di vista compositivo, l’equilibrio visivo delle forme e degli accordi cromatici, questi ultimi basati su una tavolozza terrosa, è il più delle volte dinamico: i pattern visuali ci appaiono come conduttori di forze percettive, di un’agency interna all’opera.

Tommaso Serra, "Senza Titolo", 2022.

Se la passione per l’Africa e la sua cultura materiale accomuna Serra ad altri artisti siciliani, come Francesco Carbone che, tra gli anni 80’ e 90’ del Novecento, realizza delle maschere, da lui definite afro-mediterranee, ispirate ai volumi sintetici delle maschere tribali, o Giusto Sucato, il quale, proprio in quegli stessi anni, nelle sue opere di Scrittura Visuale, si avvale di chiodi per riprodurre i caratteri dell’alfabeto arabo, l’impiego di garze richiama immediatamente la serie dei sacchi di Alberto Burri, risalente agli anni 50’, in cui materiali poveri, come sacchi di juta e garze, si caricano di valenze esistenziali e biografiche; infine, la sovrapposizione di lettere, frammenti di frasi, segni, ready-mades - procedimento già impiegato da Gastone Novelli nelle sue celebri carte - suggerisce un’intensa e costante interrogazioni sui limiti e sulla natura del medium pittorico.

Giusto Sucato, "Senza Titolo"

Comments


bottom of page