A quarant’anni dal suo tragico assassinio l’8 dicembre 1980, John Lennon è sempre più attuale e presente. Ricordarlo, in senso proprio, è superfluo: le sue canzoni, con i Beatles e da solista, sono ovunque. La sua eredità musicale è viva e persiste, attraverso generazioni di musicisti che lo hanno preso a modello, a partire dai suoi contemporanei, che lo rispettavano già come uno dei più grandi, fino ai nostri giorni: nella recente occasione dell’ottantesimo dalla sua nascita (era nato il 9 ottobre del 1940), sono fioccati tributi e riconoscimenti da tutti gli angoli dell’universo musicale e non.
In tal senso, se permane intatta la commozione e l’incredulità a decenni di distanza per il suo omicidio, che resta un gesto sconsiderato e senza alcuna spiegazione - la più tragica delle
fatalità rispondente soltanto al disegno paranoico di una persona mentalmente disturbata, non ha molto senso parlare della sua scomparsa. Per tutti quelli nati dopo il 1980, Lennon c’è sempre stato, non più come uomo in carne ed ossa e artista attivo, ma come idea, come eroe, come mito. In un certo senso è come se non fosse mai morto – quindi, non val troppo la pena soffermarsi sulla sua dipartita, evento decisamente terreno, ormai storicizzato e metabolizzato, per quanto scioccante. A lui, d’altronde non era mai interessato il passato. Erano il presente, e soprattutto il futuro, a intrigarlo.
Se la sua morte resta “solo” un fatto tra tanti, calendarizzato insieme a tutti gli altri nel nostro eterno presente fatto di ricorrenze e celebrazioni, non è certo inopportuno soffermarsi ancora una volta sulla sua figura, unica nella storia della musica popolare del XX secolo. Sì, è vero, di nomi passati alla storia, complice anche la loro scomparsa prematura, il rock è stato particolarmente generoso negli ultimi decenni; a titolo diverso, Elvis Presley, Bob Marley, Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, Jimi Hendrix, Kurt Cobain e in tempi recenti Michael Jackson, Amy Winehouse, David Bowie, Prince (ed è solo la punta dell’iceberg) sono tutte figure che trascendono la dimensione del presente e della storia per entrare in definitiva nell’immaginario collettivo, nel mito, eroi senza tempo. Ma, davvero, nessuno ha avuto lo stesso impatto di John Lennon. Per un’infinità di ragioni, che prescindono dalle preferenze individuali e dalla validità e dalla solidità della sua opera.
Spiegare il perché nel dettaglio richiederebbe davvero moltissimo; esistono in merito centinaia, migliaia di articoli, libri, saggi, biografie, documentari, film che affrontano, ora in un modo, ora in un altro, la questione. La risposta è sempre la stessa: John Lennon è unico nel suo genere. Certamente, la scomparsa tragica e prematura, in un momento di rinascita artistica dopo un periodo di inattività e all’alba di un decennio, gli anni ’80, che probabilmente lo avrebbero visto protagonista, ha contribuito alla consolidazione immediata del mito (peraltro già esistente, va detto) nell’immaginario collettivo. È singolare però constatare quindi come lo stesso Lennon, intervistato poco prima della sua morte, deprecasse l’esaltazione postuma di personalità recentemente scomparse come Sid Vicious dei Sex Pistols: a Neil Young, che nella sua Hey Hey My My cantava “è meglio bruciare subito che spegnersi lentamente” (frase poi diventata tristemente famosa per essere usata come epitaffio da Cobain ai tempi del suo suicidio, nel 1994), rispondeva dicendo che nella morte non c’è niente di glorioso e glorificante; meglio spegnersi lentamente, ovvero stare dalla parte di chi lotta e di chi sopravvive, ogni giorno, consumandosi e resistendo. Chissà, forse non è un caso che ne sia andato non per conseguenza diretta delle sue azioni ma per una fatalità, come uno dei suoi più grandi miti, Buddy Holly, padre fondatore del rock and roll morto altrettanto tragicamente e inaspettatamente in un incidente d’aereo nel 1959.
D’altro canto, lui stesso sapeva bene cosa significasse sopravvivere: molti dei suoi colleghi, ieri e oggi, sono rimasti vittime del successo e della fama; la lista è infinita e alcuni di quelli che abbiamo citato sopra sono soltanto i casi più famosi. John Lennon, invece, era sopravvissuto a tantissime cose: all’abbandono da parte dei genitori, a chi gli diceva che con il rock and roll non avrebbe mai fatto strada, ai Beatles, alla tossicodipendenza, a tutti quelli che condannavano la sua scelta di condividere vita e arte con Yoko Ono (forse la donna più odiata di sempre dopo Eva?), all’essere – più o meno controvoglia - un santino della sinistra radicale, agli alti e bassi di una carriera solista che, a parte Imagine e poco altro, non gli aveva riservato il successo commerciale e di critica che avrebbe desiderato e meritato, relegandolo allo status eterno di “John Lennon-ex Beatle-mito vivente”. Prima di morire per mano di un folle e diventare, suo malgrado, il martire che non avrebbe mai voluto essere, era passato attraverso tutto questo. Sopravvivendo.
Forse è proprio in questa sua volontà di sopravvivenza, di persistenza che risiede l’eternità di Lennon, il suo più grande insegnamento. La caparbietà con cui è andato sempre oltre, magari sbagliando umanissimamente (che non fosse esattamente un santo è risaputo), cercando di essere una persona migliore (sintomatico, ad esempio, il suo ritiro di cinque anni per crescere il figlio Sean, dopo il fallimento del primo matrimonio e della prima paternità). E, nel frattempo, di migliorare il mondo. Immaginandone uno diverso e, di fatto, creandolo. Con le sue canzoni anzitutto.
Già, le canzoni. Da Strawberry Fields Forever a Mind Games, da Revolution a Instant Karma!, da Jealous Guy a I Am The Walrus passando per God o #9 Dream, e magari addentrandosi nei sentieri meno battuti della sua produzione: gli spunti da cui trarre qualcosa sono sempre lì, per essere scoperti, riscoperti, sviscerati ed esaminati. Ma forse per andare al nocciolo della questione basterebbe solo un verso della sua canzone più nota e celebrata (non scontata, giacché non esistono canzoni scontate): “puoi dire che sono un sognatore, ma non sono l’unico”. Imagine dice semplicemente questo: un mondo migliore è possibile, se lo vogliono tutti. Un pensiero genuinamente utopistico, certamente figlio di idee anni ’60 già abbondantemente processate dalla storia e messe in discussione. Ma non per questo superato, o inattuale, o carico di accezioni negative (come incredibilmente vorrebbero alcuni).
C’era qualcosa, in Lennon, che andava oltre il semplice slogan peace and love sbandierato ad ogni occasione, in molteplici declinazioni. C’era un autentico modo di immaginare il futuro, di vedere oltre, di connettere gli uomini fuori da ogni barriera politica, linguistica, culturale, sociale, religiosa. Quel mondo che lui sognava e immaginava allora, non somiglia forse un po’ a quello in cui viviamo oggi? Nel momento stesso in cui John Lennon ha cantato le sue parole, ha creato di fatto il futuro, preconizzandolo e realizzandolo. Allo stesso modo, quando John & Yoko facevano le conferenze stampa a letto (bed-in) per parlare di pace e cantare semplicemente Give Peace a Chance all’alba della presidenza Nixon, o quando tappezzavano le maggiori città del mondo con cartelli che recitavano “la guerra è finita, se lo vuoi”, hanno inventato un modo semplice, efficace e immediato di fare comunicazione globale, approfittando semplicemente della loro fama. In altre parole erano già social, cinquanta anni fa.
Certo, benché iperconnesso, il mondo in cui viviamo è ben lontano dall’essere il migliore dei mondi possibili. Vediamo anzi come le barriere, le divisioni e i confini tendano oggi più di allora a rialzarsi e rimarcarsi. Ma se è un po’ diverso, e magari un po’ migliore, forse il merito è anche di un musicista rock and roll che, prima di ogni altra cosa, ha creduto nel potere dei suoi sogni. Persistendo e sopravvivendo. Se è vero che Lennon è sempre più attuale e presente, è altrettanto vero che mai come oggi si sente il bisogno del suo umanesimo laico, della sua fiducia che la volontà di ciascuno possa diventare volontà collettiva, del suo saper immaginare, e realizzare, il futuro. Basta andare al di là delle convenzioni e delle idee precostituite. È facile, se ci provate.
A cura di Antonio Pancamo Puglia.
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