Il mondo che viviamo e che percepiamo ci è dato dalla luce che riflettono gli oggetti.
Dal 1839 la fotografia - che è per definizione «stampa della luce su una superficie fotosensibile» - ha fornito la possibilità di catturare permanentemente questa luce riflessa e da allora è iniziata l’arte contemporanea. Dal punto di vista delle arti visive l’avvento della fotografia ha segnato un punto di non ritorno, tanto che fece esclamare al pittore Paul Delaroche «da oggi la pittura è morta».
La fotografia nasce in un periodo in cui era netta e insindacabile la separazione tra le arti – pittura; scultura; architettura; musica; poesia - e la fotografia era lungi dall’essere riconosciuta come espressione artistica. È solo nell’ambito delle Avanguardie Storiche (nate anche grazie la spinta propulsiva della fotografia) che il nuovo medium viene introdotto nelle ricerche e sperimentazioni degli artisti. Con le Avanguardie, accade un’altra rivoluzione che sconvolge l’arte così come era stata sempre concepita: crolla il concetto di “rappresentazione della realtà”. In primis la pittura – ufficialmente grazie a Kandinskij – e in seguito anche la fotografia intraprende la via dell’astrazione, verso forme che non hanno più la realtà visibile come riferimento, ma realtà “altre” che si rifanno alla dimensione dell’interiore e dell’immaginario.
Il percorso verso l'astratto di Vasilij Kandinskij
La fotografia astratta rivela già dal nome una natura problematica e apparentemente contraddittoria.
La fotografia è pur sempre la fotografia di “qualcosa” e l’esistenza di un oggetto concreto davanti all’obiettivo ne è la condizione necessaria, nonostante esso può essere nascosto, svisato, deformato fino all’estremo della sua riconoscibilità.
La ragion d’essere della fotografia è quella di fornire un’immagine coerente e comprensibile della realtà, ma la realtà stessa non è del tutto oggettiva. La nostra percezione di tutto ciò che ci circonda non è che frutto del nostro processo mentale che elabora le informazioni visive, perciò che chiamiamo realtà è un insieme di percezioni individuali, mutevoli e instabili. L’astrattismo fotografico non fa altro che restituire alle forme l’indeterminatezza originaria in modo che sia la mente dell’osservatore ad attribuire un significato e trarre una propria soddisfazione. Come per i dipinti astratti, non si tratta di una sfida nel capire "cosa è in realtà", piuttosto un arricchimento della propria fantasia, uno stimolo per creare nuove associazioni mentali.
La critica all’astrattismo
Nel 1959 la mostra The sense of Abstraction al MoMa di New York ha azzardato mettere per la prima volta insieme pittura e fotografia sotto la medesima etichetta dell’astrattismo.
«Per un fotografo andare verso l’astrattismo è finire in un vicolo cieco. Mentre andare verso la rivelazione è volgersi alla vita stessa.»
Asserisce duramente Minor White, uno dei 75 autori delle fotografie esposte alla mostra. Dichiarandosi molto perplesso dal titolo della mostra e dal fatto che vengano definite astratte le sue fotografie «la mia poetica è completamente antiastratta. Si rivolge piuttosto al momento della rivelazione.»
Fotografie della mostra del 1959 al Museum of Modern Art di New York
La severa critica di White, già ai tempi rimasta inascoltata, paradossalmente introduce un concetto che dimostra come l’astrattismo in fotografia non tradisce la natura del suo medium. E’ possibile infatti parlare dell’astrazione in fotografia come “un’estrazione” di oggetti del mondo concreto catapultati prima sulla superficie fotosensibile e poi nella nostra mente diventando “rivelazione” del reale.
L’atto di estrazione compiuto dall’artista, è dunque il punto di partenza del processo di astrazione che continua nel cervello dell’osservatore e che ha come fine ultimo la rivelazione.
Straight photography
La tendenza verso l’astrazione si affermò per tutto il XX secolo, durante il quale i fotografi tentarono di discostarsi dalla concezione scomoda e limitativa della fotografia vista come mera riproduzione meccanica e descrittiva della realtà.
Il gruppo dei fotografi americani, primo tra tutti Alfred Stieglitz, promosse un approccio astratto che rispettasse lo specifico linguaggio visuale tecnico del medium sfruttando la geometria e il design già insiti nel mondo.
Questo era l’obiettivo della straight photography (fotografia diretta): cogliere la realtà fatta di oggetti di uso quotidiano che di solito sfuggono all’occhio umano, senza alcuna manipolazione, utilizzando i meriti unici del mezzo - messa a fuoco nitida, inquadratura, punto di vista ravvicinato. L’astrazione nasce direttamente dalla realtà, dalla natura e dall’ambiente urbano. Il compito dell’artista è quello di gettare una nuova luce sul quotidiano, riscoprendovi una valenza estetica che ricalca la logica dei readymade consacrati da Marcel Duchamp. A ragione, questi scatti possono essere considerati una sorta di “quadri trovati”.
Il massimo rappresentante della straight photography fu Paul Strand che influenzò molto la generazione successiva di fotografi tra cui Aaron Siskind, la cui fotografia si avvale di una componente astratta più lirica.
PAUL STRAND
Massimo esponente della straight photography e uno dei padri della fotografia artistica, Paul Strand nasce a New York nel 1890 e con il suo lavoro ha contribuito a conferire alla fotografia quella dignità di disciplina autonoma che ancora oggi conserva.
«Il mondo dell'artista è illimitato. Può essere trovato ovunque, lontano da dove si vive o a pochi metri di distanza. E' sempre a portata di mano.» (Paul Strand)
Facendo fede alla concezione di fotografia come unico valido mezzo con il quale documentare la realtà sociale contemporanea, i principi teorici dell’estetica di Paul Strand si basano sull’opposizione al Pittorialismo. La fotografia poteva offrire molto di più rispetto al falso figurativo e ideale dei quadri. La sua rigorosa ricerca di obiettività era volta a cogliere l’intima essenza della realtà mediante le incredibili possibilità espressive della fotografia.
Il suo lavoro è da considerarsi un’esperienza profonda e pura della pratica fotografica: Strand esplora con occhio attento l’ambiente urbano, riuscendo a realizzare immagini brutalmente dirette, pure, senza inganno e straordinariamente espressive.
Strand si fa ispirare da Cezanne, Braque e Picasso e dagli astrattisti: i suoi scatti di particolari architettonici e nature morte rimandano alla semplificazione geometrica cubista. È tutto un gioco di luci e ombre, close-up di particolari decontestualizzati dalla realtà, un’insieme di linee, volumi e spazi senza alcuna manipolazione delle immagini.
Paul Strand integra alla perfezione l’aspirazione a una fotografia pura a un nuovo modo di interpretare la realtà e di esprimere nel contempo la propria individualità. La sua visione accoglieva l’idea di un’arte capace di convergere realismo e astrattismo al fine di coinvolgere lo spettatore sia spiritualmente che socialmente.
AARON SISKIND
Aaron Siskind nasce nel 1903 e per ben 21 anni insegna inglese nel sistema scolastico pubblico di New York City. Inizia a fotografare nel 1929 quando riceve la sua prima macchina fotografica come regalo di nozze e immediatamente comprende il potenziale artistico del medium e ne fa la sua professione, diventando uno dei grandi della fotografia americana.
«Guardiamo il mondo e vediamo cosa abbiamo imparato a credere ci sia. Siamo stati condizionati su cosa aspettarci, ma, come fotografi, dobbiamo imparare ad allentare le nostre convinzioni.» (Aaron Siskind)
Il suo approccio astratto nasce da un’esigenza espressiva (non narrativa) creativa e spontanea, affine al modus operandi dei pittori della scuola di New York che combinavano l’intensità emotiva degli espressionisti tedeschi con l’estetica anti-figurativa dell’astrattismo.
Le sue inquadrature si focalizzano su soggetti apparentemente di poco valore – elementi naturali, muri e superfici urbane, oggetti di uso quotidiano, frammenti di realtà – che su pellicola diventano composizioni autonome. Siskind provava una sincera gioia nel processo di ricerca e scoperta dei soggetti da fotografare in modo da esaltare la loro natura astratta.
Il caso è una componente importante della poetica di Siskind, profondamente influenzato dal surrealismo. Girando senza una sceneggiatura, il fotografo si faceva attrarre da i segni lasciati da gesti spontanei e inconsci sulle superfici.
Esteticamente simili ai quadri dell’espressionismo astratto, le fotografie di Siskind rafforzavano l’idea duchampiana che non c’è bisogno di dipingere per fare arte – neanche arte astratta, basta solo saper osservare attentamente. L’obiettivo della camera è come l’occhio del pittore e il lavoro dell’osservazione equivale al lavoro del dipingere.
Aaron Siskind si muove in una zona al limite, in un simbolico spazio tra un mondo pieno di dettagli casuali e un’arte consapevole di sé. Le sue forme dirette e crude sono prive di significato, se non quello che lo spettatore legge in esse. Le sue fotografie fatte di segni e graffi sfuggono sia dai confini dell’illustrazione narrativa, sia da quelli del lavoro di documentazione per innalzarsi al mondo astratto delle idee.
I lavori di Paul Strand e Aaron Siskind qui riportati sono solo una minima parte del loro immenso corpus di opere che comprende anche ritratti e reportage; così come Strand e Siskind stessi sono solo due degli artisti che hanno perseguito la via dell'astratto che a sua volta si dirama in tante diverse declinazioni. In Europa, per esempio, l'astrattismo fotografico prese una piega più sperimentale ed estetica che indagava i materiali e i processi fotografici.
Artisti come Moholo-Nagy e Man Ray arrivarono persino a creare fotografie senza fare uso della macchina fotografica, imprimendo un’immagine direttamente su un foglio di carta fotosensibile o un negativo (fotogramma).
L'astrattismo fotografico è sempre rimasto culturalmente molto caro agli americani, e infatti a oggi, gran parte degli artisti rappresentativi del panorama attuale della fotografia astratta sono statunitensi: Ellen Carey, Shirine Gill, Kim Keever, Yamini Nayar, Susan Rankaitis, Mariah Robertson, Nicki Stager e Mike e Doug Starn. Il loro lavoro, neanche a dirlo, si discosta profondamente da quello della tradizione soprattutto per l'uso del digitale, che negli anni Novanta ha rivoluzionato la fotografia, sostituendosi al digitale e aprendo ad altre possibilità di elaborazione ed espressione infinite.
Opere di: Susan Rankaitis, Ellen Carey, Mike e Doug Stern, Yamini Nayar, Kim Keever.
«La fotografia astratta vuol significare non il dato, ma il possibile. E in un mondo soffocato dalle immagini, forse è da considerarsi un necessario antidoto a una crescente apatia e torpore, a una cecità all'immagine stessa.» (Lyle Rexer)
Per Brassaï, uno dei fotografi più importanti del XX secolo, non c'era niente di più surreale della realtà, e qualora la realtà avesse fallito nel sorprenderci, era solo perché eravamo caduti nel grigiore di una visione ordinaria.
L'astrattismo, come fotografia, è una delizia sublime o un inaudito affronto all'occhio. L'astrattismo, come filosofia, ci trasporta in una dimensione dove se ‘’tutto può essere’’ , allora non trova senso di esistere il “cos’è in realtà?”.
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