Quella del MES è diventata ormai una questione di centrale importanza per cercare di capire il funzionamento e gli equilibri dell’Europa nella cornice di questa crisi. Se ne sta parlando tanto, ma di cosa si tratta esattamente?
Inutile dire che il 2020 verrà ricordato dagli storici come l’anno in cui gli Stati e la popolazione mondiale hanno dovuto fronteggiare un nemico insidioso e invisibile che ahinoi non ha certo bisogno di presentazioni. Nel prossimo futuro quando la crisi sanitaria in atto sarà domata, un'altra crisi dalle proporzioni gigantesche e dai risvolti molto più ampi rischia di abbattersi sulle nostre teste. Stiamo parlando dell’inevitabile crisi economica data dal caos che il virus e le misure per arginarlo hanno portato nei rapporti contrattuali fra i privati e fra gli stessi e le istituzioni, ma a differenza della crisi sanitaria quella economica colpirà tutti nessuno escluso. Mentre gli Stati del resto del Mondo stanno già correndo ai ripari, mettendo tempestivamente in campo misure espansive per rifornire di liquidità famiglie e imprese, qui in Europa o per meglio dire nell’Unione Europea dopo più di due mesi dall’inizio dell’emergenza si stenta ancora a trovare una soluzione comune a causa delle divergenze fra i paesi del nord, in primis la Germania, e i paesi del sud in primis l’Italia, entrambe da sempre perfetti simboli dell’insanabile e onnipresente contrasto fra i due blocchi all’interno del vecchio continente.
Eppur qualcosa si muove, infatti nello scorso eurogruppo sono stati messi sul piatto alcuni strumenti per far fronte alla suddetta e oramai conclamata crisi, primo fra tutti il famoso o famigerato MES detto anche “fondo salva stati”, che tanto sta impegnando il dibattito istituzionale. La politica è divisa e diverse sono le opinioni in merito, ma fin qui nulla di nuovo sotto il sole. Molti sono invece gli economisti, all’interno della comunità scientifica, che ravvisano non poche criticità che l’utilizzo di questo strumento porterebbe con sé. In particolare, 101 fra questi hanno firmato un appello al governo italiano nel quale invitano lo stesso a non accettare gli strumenti proposti dall’eurogruppo in quanto inadatti e insufficienti per fronteggiare la crisi in atto, indicando una strada alternativa di cui parleremo dopo. Fra questi 101 economisti se ne inserisce un altro mezzo (che sarei io), il quale non è certo un economista ma non è nemmeno un profano dell’economia, di conseguenza cercherà di farvi partecipi delle sue ricerche.
Ma andiamo con ordine, cos’è di preciso il MES? MES sta per “Meccanismo Europeo di Stabilità” ed è un accordo che dovrebbe salvaguardare la stabilità finanziaria della eurozona. Il MES è entrato a far parte dell’ordinamento comunitario attraverso la modifica di uno degli articoli del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), il quale, insieme al Trattato sull’Unione Europea (TUE), costituisce la base fondamentale del diritto primario dell’Unione. L’articolo in questione è il 136, che al nuovo paragrafo 3 recita testualmente:
Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità.
Grazie a questa modifica si è quindi potuto procedere alla sottoscrizione, da parte degli stati dell’eurozona, del trattato che istituisce questa nuova organizzazione finanziaria intergovernativa nel quadro del diritto internazionale con sede in Lussemburgo, in data 2 febbraio 2012. Importante è il fatto che il MES, pur essendo inserito all’interno dell’ordinamento dell’Unione, è un soggetto che ha piena personalità e capacità giuridica distinta da quella dell’UE stessa. Esso ha infatti la facoltà di concludere accordi a nome proprio con istituzioni finanziarie o terzi. In una situazione di emergenza economica come quella corrente, è come se l’UE avesse abdicato al proprio ruolo istituzionale verso un’entità ormai legittimata a diventare il principale punto di riferimento della governance europea nella gestione delle crisi. Vediamo come funziona analizzando alcuni articoli salienti.
Dall’art. 3 leggiamo che
L'obiettivo del MES è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto.
Gli stati aderenti partecipano in qualità di soci e devono versare una quota calcolata secondo i parametri di sottoscrizione del capitale della BCE (art.11). Il 26,9% lo mette la Germania, il 20,2% la Francia, il 17,7% l’Italia, l’11,8% la Spagna e la restante parte viene suddivisa in quote via via più piccole fra gli altri membri dell’eurozona. Ciò però non significa che la Germania, in virtù del contributo finanziario, sia semplicemente lo Stato su cui ricadono i maggiori oneri. Il trattato prevede infatti che il peso del voto di ciascun membro sia proporzionato alle quote di capitale effettivamente versato. All’art. 4, comma 7, leggiamo infatti che
Il numero dei diritti di voto di ciascun membro del MES è pari al numero di quote assegnate a tale membro a valere sul totale di capitale versato.
Al comma 8 dello stesso articolo si evince chiaramente che qualora uno Stato abbia difficoltà a reperire le risorse da destinare all’organizzazione, risorse che dovranno comunque essere acquisite attraverso l’emissione di debito pubblico, aggravandone ancora di più l’esposizione
non potrà esercitare i propri diritti di voto per l’intera durata di tale inadempienza.
La quota di pertinenza dell'Italia ammonta a 125,3 miliardi su un totale di capitale autorizzato pari a 704 miliardi, ma solo 14 sono stati da essa effettivamente versati. Nel trattato viene quindi utilizzato lo stesso modello di contribuzione della BCE, ma viene applicato un criterio di votazione differente non più basato sul principio di parità fra gli stati membri. Un vero e proprio modello tipico delle s.p.a private in cui sono gli azionisti di maggioranza ad avere maggiore potere e controllo, dove lo Stato viene considerato alla stregua di un socio in affari o peggio, di un debitore costretto a chiedere un sostegno finanziario. E qualora tale sostegno finanziario dovesse essere richiesto, all’art.8 si legge che
L'obbligo di un membro del MES di contribuire al capitale autorizzato in conformità al presente trattato non decade allorquando detto membro divenga beneficiario oppure riceva assistenza finanziaria dal MES.
Tutto ciò, unito al successivo art.9 comma 1 il quale afferma che
Il consiglio dei governatori può richiedere il versamento in qualsiasi momento del capitale autorizzato non versato e fissare un congruo termine per il relativo pagamento da parte dei membri del MES
non dovrebbe creare particolari difficoltà ad immaginare che appunto in qualsiasi momento potrebbero venirci “richiesti” i restanti 111 miliardi da versare, aggravando ancora di più una situazione debitoria già al limite come quella italiana. Come se ciò non bastasse i prestiti del MES fruiranno dello status di creditore privilegiato (punto 13), rispetto a tutti gli altri creditori dello Stato (banche, operatori finanziari, imprese), i quali, vedendosi scavalcati nella restituzione del capitale davanti un potenziale rischio di insolvenza, si affretteranno a vendere i propri titoli facendo schizzare verso l’alto il famoso spread esasperando ancora di più il quadro generale. Il Consiglio dei governatori sopracitato è l’organo decisionale del MES. Il trattato attribuisce a tale consiglio poteri enormi quali: modificare lo stock di capitale versato stabilendo nuove quote da assegnare ai membri; modificare la politica e le linee direttrici per la determinazione dei tassi di interesse imposti al Paese che richiede assistenza finanziaria; variare l’elenco degli strumenti di assistenza finanziaria; decidere se concedere o meno il prestito allo Stato in difficoltà e qualsiasi altra decisione necessaria non espressamente contemplata dal trattato. E non rassicura certo il fatto che all’art. 35 si legga che tutti i membri del
personale godono dell’immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti nell'esercizio ufficiale delle loro funzioni e godono dell’inviolabilità per tutti gli atti scritti e documenti ufficiali redatti.
Molti altri sono gli articoli che andrebbero analizzati ma al netto di questo la domanda che noi tutti ci siamo posti almeno una volta è: Ma queste condizionalità ci sono oppure no?? Vediamo cosa riporta l’eurogruppo al punto 16:
L'unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell'area dell'euro che richiedono sostegno si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell'assistenza sanitaria, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi COVID 19… Seguiranno le disposizioni del Trattato MES (quelle viste sopra). La linea di credito sarà disponibile fino alla fine della crisi di COVID 19. Successivamente, gli Stati membri dell'area dell'euro rimarranno impegnati a rafforzare i fondamentali economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell'UE.
Basta solo saper leggere fra le righe per capire che le rigorose condizioni di cui all’art. 3 del MES se non subito verranno applicate non appena sarà finita la crisi del COVID 19. Ma qualora ciò non vi basti andiamo pure a scomodare la Corte di Giustizia Europea, massima istituzione preposta all’interpretazione dei trattati. Essa in una nota sentenza dichiara testualmente:
Se gli Stati membri la cui moneta è l’euro sono competenti a concludere tra di loro un accordo relativo all’istituzione di un meccanismo di stabilità… tuttavia gli stessi non possono esimersi dal rispetto del diritto dell’Unione ... A tal proposito, si è comunque ritenuto che la rigorosa condizionalità cui il meccanismo di stabilità subordina la concessione di un’assistenza finanziaria in forza del paragrafo 3 dell’articolo 136 TFUE è diretta a garantire che, nel suo funzionamento, tale meccanismo rispetti il diritto dell’Unione.
Credo che quest’ultima dichiarazione non lasci spazio ad ulteriori ragionevoli dubbi.
Non esiste un MES senza condizionalità, sarebbe impossibile e illegittimo in quanto in contrasto con l’art. 136 TFUE, ovvero l’articolo da cui siamo partiti. La condizionalità c’è e non può non esserci. Di conseguenza il conto prima o poi verrà presentato è sarà molto salato, e per capirlo ricorriamo a ciò che Keynes definiva la “forza dell’esempio”. Perché di esempi di paesi che in precedenza hanno richiesto assistenza al MES ve ne sono diversi (Spagna, Cipro, Portogallo) ma per non appesantire ulteriormente il discorso ne citerò solamente uno, il più famoso e il più esemplare.
La tragedia greca, tale da far impallidire perfino Euripide, inizia a consumarsi proprio quando vennero concordate le suddette condizionalità le quali prevedevano: ulteriori drastici riduzioni della spesa pubblica in settori quali sanità, scuola, ricerca, tagli ai salari e alle pensioni, aumento delle tasse, privatizzazione delle imprese pubbliche e altre misure ancora. Come risultato la disoccupazione ha sfiorato il 30%, il 94,6% delle famiglie ha subito una riduzione media del 39,47% del proprio reddito dal 2010 sino ad oggi, una famiglia su tre teme di perdere la casa, il 63,7% delle famiglie dichiara di aver ridotto le spese per l'alimentazione, il 90,3% ha tagliato le spese per il vestiario. Potrei continuare, la lista sarebbe ancora lunga e triste ma qui mi fermo.
Credo che a questo punto risultino più chiare le motivazioni che stanno dietro l’appello dei 101 e mezzo, così come dovrebbero essere più chiare le conseguenze, seppur con le dovute proporzioni, a cui l’Italia andrebbe incontro qualora si dovesse fare ricorso al Meccanismo. Ma come anticipato sopra un’alternativa c’è e risponde al nome di BCE. Proprio recentemente per voce della Lagarde, nella sua ultima conferenza stampa, la BCE mostra la sua volontà di sostenere in questa emergenza l’economia reale con un ampio programma di acquisto dei titoli del debito pubblico. In particolare, viene precisato che il programma di sostegno più adatto a questo tipo di emergenza non è il MES, caratterizzato dalle condizionalità e da una capacità di intervento limitata, bensì l’ampio programma di acquisto titoli ovvero il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Programme) dichiarando che il totale degli acquisti di asset quest’anno supererà il trilione (mille miliardi) di €. Tecnicamente, in una situazione deflattiva come quella attuale, dove l’economia è ferma al palo e non vi è il minimo rischio di spirali inflattive, una banca centrale ha una potenza di fuoco illimitata, può acquistare qualsiasi cosa, a qualsiasi prezzo voglia. Solo nell’UE questo intervento diretto viene ancora visto come un tabù. Le altre grandi economie mondiali, che di certo non stanno a discutere mesi se applicare o no le condizionalità per accedere ad un fondo, hanno visto le loro banche centrali fin da subito immettere la liquidità necessaria nel tessuto economico, prime fra tutti la Federal Reserve e la Bank of England.
In Europa si parla tanto, ma non si agisce e non è difficile capire che è proprio per questo che l’eurozona è da ormai da più di un decennio l’area avanzata a più bassa crescita nel mondo. E continuerà ad esserlo se non verranno messi in campo gli strumenti adeguati, motivo in più per sperare che l’appello dei 101 e mezzo non rimanga inascoltato.
A cura di Nino Battaglia
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