L’artista siciliano Giuseppe Miccichè, vincitore del premio Michele Cea 2020, parla del mondo dell’arte contemporanea dal suo punto di vista di giovane artista emergente e insegnante.
L’arte è un fatto relazionale, si fa arte per comunicare. La produzione artistica è un dialogo che ha bisogno attivamente dell’Altro per avere luogo, a partire dalla definizione stessa di “opera d’arte” che implica l’entrare in relazione con essa. Il compito di un artista dovrebbe essere quello di realizzare un’opera in conformità ai suoi desideri, ma anche alla percezione comune. Abbandoniamo l’idea del geniale artista solitario: l’artista contemporaneo è quello immesso nel flusso della corrente del mondo, è colui che si sintonizza con la società, anche se dovesse rifiutarla, non può prescindere da essa.
Il circuito relazionale dell'arte necessita di una conferma della mediazione avvenuta tra l’artista, il mondo e il pubblico, in poche parole: è fondamentale che il lavoro dell'artista venga riconosciuto. Il riconoscimento è una tappa importante soprattutto per un giovane artista.
Una premessa doverosa questa, per introdurre un diretto interessato di questo mondo e fresco di riconoscimento, il giovane artista siciliano Giuseppe Miccichè, il quale ci ha dato il suo punto di vista sull'Arte attraverso la sua esperienza da artista e insegnante.
Giuseppe Miccichè, il perfetto rappresentante di una generazione di giovani artisti che si muovono nel mondo dell’arte in uno dei momenti più difficili e complessi mai vissuti.
Giuseppe Miccichè ha recentemente vinto il prestigioso premio Michele Cea con un’opera realizzata durante il periodo del lockdown, a dimostrazione di quanto scritto prima: la sfida per il vero artista è quella di riuscire a carpire e poi concretizzare in un prodotto un sentire personale che, inevitabilmente, si innesta con quello comune e universale.
Classe 1991, Giuseppe ha già alle spalle diverse collaborazioni importanti (in qualità di designer nel progetto Agrigentérotique, mostra permanente alla Farm Cultural Park) e una mostra personale presso Yard44 (Favara, AG) intitolata #Prigionesilenziosa: 9 opere concettuali divise in 2 atti e caratterizzate da paradossi, che narrano il dietro le quinte di un soggetto indefinito in conflitto con la società contemporanea e con sé stesso.
In qualità di artista nel contemporaneo, Giuseppe lavora anche ben oltre i confini del suo studio, attivandosi per e nel suo territorio. Il sindaco e la consulta giovanile del suo paese, Santa Elisabetta (AG), lo hanno nominato Art Director per il primo EXPO di Natale, per il quale ha anche realizzato la scenografia dell’evento. Un’ulteriore collaborazione è quella con l’I.C. Anna Frank (AG) nel progetto di Riuso creativo - Fontanelle Lab, che prevede la riqualifica del territorio e il riuso creativo attraverso materiali di risulta in un quartiere della città.
Non solo per essere nel pieno della sua vicenda artistica, ma anche per la sua attività di insegnante ai futuri giovani artisti: Giuseppe Miccichè incarna una commistione di fattori che gettano le basi per riflessioni che, forse, basterebbero per scriverci un piccolo saggio.
Intervista a Giuseppe Miccichè
Ciao Giuseppe, partiamo dal tuo ultimo successo.
Cos’è il premio Michele Cea? Che valore ha oggi, concretamente parlando, la vittoria di un premio nel percorso professionale di un artista?
Il premio Michele Cea nasce in memoria di un artista scomparso prematuramente a 27 anni.
I genitori, insieme ad altri professionisti del settore, hanno deciso di creare questa fondazione no profit, al fine di promuovere l’arte e dare visibilità agli artisti di tutta Italia. Ogni anno esce il bando e la Fondazione riceve centinaia di opere, dalle quali estrae 12 finalisti attraverso la valutazione dei critici d’arte di cui dispone. I premi sono molteplici per il primo classificato, si tratta di una scultura in vetro realizzata dallo scultore Germano Caiano, una ricompensa in denaro di 1500,00€, una galleria per una mostra personale, la pubblicazione dell'opera sulla rivista Arte (Cairo Editore) e la segnalazione dell'artista sul Catalogo di Arte Moderna (CAM 57 – Editoriale Giorgio Mondadori).
Parlaci della tua opera vincitrice e in che modo si contestualizza col corpus del tuo lavoro.
#Prigionesilenziosa3 è secondo me l’emblema della società contemporanea, mascherata dai filtri dei social e che non è più capace di empatizzare nella vita reale.
È il paradosso di un grido che non emette alcun suono... è la metafora di una perpetua richiesta d'aiuto non pervenuta all'ambiente esterno, la società. La prigione nasce quanto l’individuo si sente solo e subisce la violenza dei giorni nostri, telematica, virtuale, gratuita. La stessa opera si presentava in finale supportata da 27 likes, non che siano fondamentali secondo la mia personale visione della realtà, ma di fatto nessuno l’ha mai sostenuta.
Mi diverte vedere che dopo la vittoria e dopo le pubblicazioni, l’opera gira nei vari profili…o forse mi rattrista. Il mio lavoro è fondato dalla ricerca ossessiva costante di connessioni con il mondo esterno, la serie #Prigionesilenziosa non è altro che il sunto di quanto captato negli ultimi 10 anni, dal mio diploma di maturità, alla laurea fino all’esperienza da docente.
I giovani gridano, ma nella loro intimità.
G.Micciché, #Prigionesilenziosa3, 2020 - opera vincitrice del Premio Michele Cea
Munari diceva "L’arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi" Cosa ne pensi a riguardo?
Sono perfettamente d’accordo con quasi tutti i pensieri di Munari. Il suo modo di scomporre la realtà attraverso concetti visivi, mi ha permesso di sintetizzare nel modo più banale possibile quella che oggi è la mia opera di punta: un umanoide che esprime il dolore primordiale della vita.
Perché hai deciso di intraprendere questa carriera e da dove nasce la tua passione per l’arte?
Ho intrapreso questa carriera perché non ho mai capito come comunicare con le persone, sono tutte così impaurite nell’aprirsi agli altri… io sono stanco di mettermi a nudo, la gente ha paura di me. Peggioro la situazione realizzando opere che manifestano ciò penso. Ho intrapreso gli studi presso la facoltà di scenografia, tuttavia, ho trovato l’arte fuori dalle mura dell’Accademia. La scuola italiana impone e giudica, ti opprime.
Perché la scultura, e non la pittura o solo il design, magari? Cosa ti spinge alla modellazione?
Odio con tutto me stesso aspettare che il colore si asciughi, quando ho qualcosa in mente la voglio immediatamente. La scultura è una sfida, lei non richiede tempo, sei tu che devi dettare i tempi in base alla tua energia a disposizione. Una scultura può nascere in un giorno come in un mese e così via. Idem il design, la progettazione mi rilassa, non devo aspettare che sia lei dirmi quanto c’è da attendere prima che il risultato sia visibile.
Cosa ti stimola creativamente? Quanto di “esterno” fai entrare nelle tue opere? Preferisci “presentare un concetto per com’è o interpretarlo?
Nelle mie opere c’è quasi sempre un rapporto con l’esterno, che sia personale o assimilato guardando gli altri. Presento l’opera, per come la partorisco, non mi faccio tante domande a riguardo. Le mie opere sono quasi tutte diverse tra loro, a volte le guardo e mi chiedo chi le abbia fatte.
Quali sono i tuoi riferimenti artstici e culturali che ti influnezano/hanno influenzato?
Sono sicuramente influenzato da Hopper a livello concettuale e da Magritte a livello grafico/visivo. Vedere per credere.
Raccontaci della tua prima mostra personale e come la vedi adesso, alla luce di una più avanzata maturità artistica.
La mia prima mostra è stata fortunata: nasceva con tanta umiltà e paura di essere giudicata negativamente. Grazie all’aiuto di Yard44 e grazie alla sensibilità della gente che è venuta a farci visita, ho ricevuto la scintilla giusta per continuare. Credo che sia stata una delle tappe più importanti della mia vita. Il premio che ho ricevuto a Milano nasce a Favara, dentro il cortile Dulcetta. #Prigionesilenziosa3 si cela dietro un finto bronzo ossidato, l’ossidazione dimostra che l’opera nasce in un tempo remoto, nonostante sia targata 2020.
Particolari dalla prima mostra personale #Prigionesilenziosa di Giuseppe Micciché.
Guardala interamente qui
Affrontiamo la questione Covid-19 e lockdown.
Come hai vissuto la quarantena e com'è stato il tuo lavoro da artista durante la pandemia? Durante il lockdown tutta la vita si è spostata al livello virtuale. Nell’era della smaterializzazione dell’opera d’arte, qual è il tuo rapporto col digitale? Sia dal punto di vista di medium artistico che dal punto di vista di (auto)promozione?
Per una personalità come la mia, il lockdown è stato un periodo favorevole alla nascita di nuove opere e nuove idee. Non è il momento in sé che mi ha ispirato, ma la possibilità di slegarmi dagli impegni lavorativi, dai pensieri di ‘’che lavoro farò quando finirà questo contratto’’ ecc… il mio rapporto col digitale è pessimo: mi da noia tutta la procedura di divulgazione dei contenuti.
Un aspetto interessante del tuo percorso è anche l'attività didattica che svolgi parallelamente da un paio d'anni. In che modo il tuo lavoro di insegnante e il tuo lavoro di artista si integrano? Uno influenza l’altro? Al di là delle nozioni storiche e delle tecniche, cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
Il lavoro di insegnante purtroppo è legato da vincoli, l’artista agisce nella totale libertà. La scuola impone di insegnare la storia dell’arte, io cerco di fare questo ma sensibilizzando i miei ragazzi affinché trovino in loro stessi il loro strumento di comunicazione. Purtroppo ogni artista è come un politico, ha le sue convinzioni. Credo sia corretto che il docente si limiti a spiegare la storia piuttosto che raccontare le sue convinzioni. I giovani sono facilmente influenzabili, nel bene e nel male. Personalmente cerco sempre di far capire ai miei alunni che non esiste il più bravo o il meno bravo, ognuno racconta le sensazioni a modo proprio.
Procedendo a ritroso, concludiamo il nostro dialogo riprendendo la riflessione iniziale sul concetto di "contemporaneo". Tu, in qualità di artista come lo interpreti? Come pensi che un giovane artista possa oggi “districarsi” all’interno del sistema dell’arte del nostro Paese?
L’artista contemporaneo è colui che crea in libertà senza doversi vincolare alla tendenza del periodo. Io la sintetizzo così. Essere artisti potrebbe essere una condanna, specie in una società che paga 1200€ di stipendio ai docenti e permette che si chiedano 650€ di affitto. Vendere l’arte è come scovare l’asintomatico allo stadio…è più facile non provarci.
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