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Il cattivo poeta: il tramonto di D'annunzio


Un film biografico incentrato sugli ultimi anni della maestosa figura del “Vate” Gabriele D'Annunzio risulta essere una buona occasione per riflettere sul percorso personale di ognuno di noi ed è un argomento della nostra storia che ancora non era stato affrontato e descritto nella sua intima decadenza nella cinematografia italiana.

Non è di certo un compito facile, quello di illustrare la complessità di una figura totalizzante come quella del poeta guerriero; un uomo votato alle suggestioni della vita, capace di racchiudere in un'unica entità la

teatralità grottesca della condizione umana (con tutte le sue contraddizioni) e l'eleganza sublime della poesia. Un atto dovuto, sublimato dalla necessità di aprire uno spiraglio di umanità in un contesto storico in cui l'Italia sembrava aver perso un po' della propria, affascinata dalle suggestioni ingannevoli di un regime che faceva della violenza e del machismo il principale linguaggio propagandistico. In questo senso D'Annunzio si inserisce come un elemento fuori categoria essendo stato l'ispiratore cardine dell'intero progetto politico nazional fascista e da questo, ben presto, ostracizzato perché non più utile all'economia della causa.


Il cattivo poeta, uscito in sala il 20 Maggio del 2021, con un ritardo dettato dall'emergenza pandemica, è l'opera prima di Gianluca Iodice, pregna di buone intenzioni, alcune portate a termine altre un po' meno; e nel suo aspetto acerbo tenta di definire nel profondo la forte personalità del Vate, ponendosi l'obiettivo di cristallizzare su pellicola un ritratto umano sfaccettato e autentico.


Sono gli ultimi giorni di vita di D'annunzio, giorni di angoscia e tormento dove il poeta si auto esilia circondato dal Vittoriale, la sua magione fortezza, rimuginando sulle glorie passate e augurando un tempo migliore che inesorabilmente non arriverà mai.

Leggendo tra le righe della sceneggiatura, scritta dal regista, si coglie un senso di vuoto e di profondo malessere interiore.

D'Annunzio ci parla, attraverso gesti e dialoghi, di come la potenza incessante del tempo riesca a plasmare e modificare la materia umana. Il Poeta Guerriero, che in tempi gloriosi riuscì in gesta memorabili e leggendarie, è ora ridotto ad antico manufatto; qualcosa che ha perduto il suo significato d'essere, oscurato dal progresso ideologico e morale. D'Annunzio, l'iniziatore ancestrale di un pensiero proto-fascista che ispirerà il pensiero di orgoglio nazionale del Ventennio, è una figura tormentata dalla sua stessa impotenza. Attraverso il racconto del Poeta, Iodice parla di quanto sia effimero il potere e di quanto possa essere velenoso a chi ne ha assaggiato il gusto senza poterlo trattenere tra le proprie mani.


Sergio Castellitto in una scena della pellicola

Il D'Annunzio del film, è il ritratto di un uomo ridicolo caduto in disgrazia, sotto il peso della leggenda che lui stessa ha contribuito a costruire. Il Poeta ha scritto la storia di sue mani senza che questa abbia avuto la cortesia di riconoscergli il merito.

Una parabola discendente che raggiunge il suo apice quando Il Duce decide di entrare in guerra appoggiando le mire espansionistiche del Führer tedesco Adolf Hitler, ignorando il consiglio del Vate sul non affiancare questo sciagurato progetto.

Gabriele D'Annunzio perde il potere di influenzare le decisioni di un regime di cui egli stesso ne è stato artefice ed iniziatore , divenendo una sorta di Cassandra delle quali previsioni non importano più a nessuno.

E nel fisico si rispecchia l'impotenza di un uomo inerme e disarmato davanti l'ineluttabilità del trascorre dei giorni. Un uomo che faceva del piacere fisico e ricreativo un guizzo estetico, riconciliatore con la natura più profonda dell'essere umano è ormai schiavo di un sesso disfunzionale, un assoggettamento della carne fine a se stessa, che rischia di dimenticare la visione poetica del proprio consumarsi. Un atto meccanico e sterile, per sottolineare principalmente a se stesso di essere ancora vivo.



La pellicola tratteggia la decadenza della memoria, la paura dell'abbandono, la solitudine degli numeri primi.

È proprio quando si viene dimenticati che sopraggiunge la morte; quando la storia ci cancella dalla memoria collettiva del proprio tempo, indirizzando lo sguardo del mondo altrove, rendendo le proprie parole e il proprio pensiero inesorabilmente anacronistico e superato.

Il regista racconta tutto questo impreziosendo il racconto attraverso il rapporto contraddittorio instaurato tra D'Annunzio e il giovane prefetto Giovanni Comini, un Francesco Patanè alle prime armi, ma con grandi potenzialità, mandato dal regime per raccogliere informazioni sulle intenzioni insurrezionali del Cattivo Poeta. Tra i due nasce un'alchimia ambigua, lacerata dall'infausto compito del giovane Comini di dover puntualmente fare da tramite tra l'intellighenzia fascista e la volontà del Poeta.


Tecnicamente parlando l'intera produzione risulta solida seppur con qualche piccola sbavatura. La regia è quadrata e impersonale, focalizzandosi principalmente sui sentimenti dei personaggi, alcuni ahimè appena abbozzati. In certi punti la sceneggiatura si incarta, diventando fin troppo didascalica. Piccole macchie che comunque non rovinano la godibilità dell'opera.

Punta di diamante dell'intero impianto è la fotografia del maestro siciliano Daniele Ciprì, che con i suoi colori plumbei, con allusioni quasi espressioniste, rende l'atmosfera del Vittoriale malinconica e funebre. Inutile dire che il mattatore incontrastato dell'intero progetto è un ottimo Sergio Castellitto, che regala la sua interpretazione del personaggio senza dimenticare di essere principalmente un interprete e non un emulatore.


Sergio Castellitto e Francesco Patanè

Nel complesso Il cattivo poeta risulta un buon prodotto, ben confezionato e diretto. Un'opera prima che ha voluto tentare l'azzardo di voler raccontare le paure interiori di una figura fin troppo complessa per essere riassunta in poco più di un'ora e mezza. Nonostante tutto il racconto scorra bene, cercando di mantenere il focus sulla vicenda principale e riesce ad imbastire un'interessante riflessione sulle angosce create dalla solitudine, intesa come infelicità di non esser riusciti a perdurare nel tempo, e sulla personalità eccentrica di un uomo che, nella totalità della sua condizione di essere umano, non ha mai ripudiato la debolezza della carne e dello spirito; accettando se stessi e la propria parte più oscura e profonda.



A cura di Andrea Rizzo Pinna

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