Dal primo momento in cui ho avuto a disposizione gli strumenti necessari per comprendere al meglio determinati concetti riguardanti l’identità di genere, l’omosessualità e la transessualità mi sono sempre schierata pienamente a favore di coloro che, per tutta la vita, hanno dovuto combattere per ottenere i propri diritti. Non ho mai compreso il motivo per cui alcune persone spendono sforzi e tempo al fine di limitare le libertà altrui. Partendo da questi presupposti, sarò molto sincera: non avevo mai capito a fondo chi decide di cambiare sesso, chi afferma di essere nato in un corpo sbagliato. Pur non avendo mai giudicato tale difficile scelta, non sono mai riuscita a cogliere completamente le ragioni di un cambiamento così drastico, complicato e pieno di insidie. Finché nel 2013 ho conosciuto Martina Panini, una donna nata in un corpo maschile. Quell’incontro mi ha definitivamente aperto gli occhi.
Martina Panini è una make up artist e consulente d’immagine nata in provincia di Arezzo trentaquattro anni fa. Martina ha scoperto di essere affetta da sordità alla tenera età di tre anni e mezzo, disabilità ereditata dal padre. A cinque Martina, nata Marco, si rende conto di essere una bambina intrappolata in un corpo maschile. Lo confesserà ai genitori a diciotto anni dando inizio ad un lungo percorso di transizione intervallato da gravi episodi di bullismo, scontri familiari e lunghi periodi di depressione.
Nel corso di questo cammino, contrassegnato da continue vessazioni da parte della comunità e amplificato dal grande ostacolo della disabilità, Martina ha trovato pieno appoggio e totale comprensione nella figura della nonna Antonia, classe 1909. Nonna Antonia ha avuto un ruolo cruciale per le sorti della nipote: non solo è stata la sua più grande sostenitrice, ma è anche stata la fautrice materiale del vero e proprio cambiamento, della rinascita di Martina: nel 2015, proprio grazie al lascito dell’amata nonna, la ragazza ha potuto sostenere le spese che le hanno permesso di diventare una donna a tutti gli effetti.
Martina oggi è una donna forte e determinata, una moderna amazzone che è riuscita a sormontare ostacoli enormi come la disabilità e le incessanti discriminazioni causate dalla sua identità di genere. Martina è una donna di successo, una professionista nel suo lavoro e rappresenta l'incarnazione perfetta della rinascita, di chi è riuscito a risorgere dalle ceneri del dolore e delle vessazioni.
La sua avvincente storia ha, recentemente, raggiunto anche lo schermo televisivo e i social network, riuscendo in tal modo a dare un ulteriore contributo alla lotta contro la discriminazione e alla presa di coscienza nei confronti una realtà ancora fin troppo sconosciuta.
Un estratto della partecipazione di Martina al programma televisivo Tú sí que vales.
La prima volta che ho incontrato Martina sono rimasta profondamente colpita dalle sue vicende e dalla sua enorme forza di volontà e oggi intervisto questa splendida donna con lo scopo di far conoscere una bellissima storia di rinascita, di successo e libertà.
Nella società odierna, ancora fin troppo limitata al concetto di “binario”, il destino di essere transgender, di transitare da un genere all’altro, è un’esperienza del tutto particolare, spesso rivoluzionaria e sconvolgente. Come riesci a spiegarlo a chi ti conosce per la prima volta?
Purtroppo ancora oggi per molte persone la parola “transitare” è considerata un tabù. Un individuo che transita appare come una persona malata, chiaramente non è così. Il percorso di transizione non è un gioco che si affronta con lo scopo di divertirsi, ma è un cammino difficile che si affronta per vivere con il corpo che realmente si sogna. Se il destino mi ha dato questa vita è perché doveva essere la mia. La vita è fatta per essere compresa: conoscere sé stessi e non giudicando gli altri. Siamo tutti brav* a puntare il dito, ma in realtà si dovrebbe imparare a guardare noi stessi prima di tutto.
Cosa ti sentiresti di consigliare a tutti coloro che desiderano o stanno affrontando un percorso di transizione? Cosa consiglieresti, in particolar modo, ai loro genitori e amici?
Vorrei specificare che il percorso transitorio è lungo e tortuoso e ci saranno sempre persone che saranno contro questa scelta, ma non importa! La vita è solo tua e basta. Bisogna vivere e non limitarsi a sopravvivere in questa vita. Ai genitori vorrei dire che i loro figli vanno sempre amati e protetti dalla società, al giorno d’oggi in gran parte misogina e meschina. L’appoggio degli amici è importante, la loro comprensione dovrebbe essere totale e senza vergogna.
Come hai vissuto il tuo ambiente scolastico? Qualche insegnante si è interessato attivamente alla tua situazione?
Ho vissuto il mio ambiente scolastico molto tragicamente: sono stata costantemente bullizzata dall'asilo fino alle scuole superiori. Sempre stata presa in giro, circondata da pregiudizi e isolata dagli altri. Nessun professore mi ha mai aiutato, io fingevo di stare bene, ma dentro ero morta. Ho sempre dovuto nascondere la mia identità vivendo in una sorta di bolla che fungesse da protezione del mio io. Un incubo.
Hai avuto delle personalità/storie di persone famose che ti hanno aiutato e fatto forza durante il tuo percorso? Modelli di vita che ti hanno fatto da esempio?
Non ho seguito nessun modello di vita reale perché fin da piccina mi sono sempre isolata. Mi sono però spesso immedesimata nel personaggio di Mara, il personaggio transessuale della pellicola “Le Fate Ignoranti” di Ferzan Özpetek. Grazie a lei mi sono resa conto della sofferenza che le persone che affrontano questo destino sono costrette a subire. E’ stato un esempio per me.
La tua disabilità ha mai rappresentato un ostacolo per la realizzazione della tua carriera lavorativa? Hai mai subito discriminazioni sul lavoro?
La mia disabilità è sempre stato un problema e mi ha ostacolato su più fronti: non potevo realizzare i miei progetti perché la mia sordità era considerata un handicap e molti pensavano che non sarei mai riuscita ad arrivare in alto a causa di ciò. Quando ero un ragazzo mi bullizzavano con appellativi del tipo “orecchione” e mi facevano sentire inferiore. Persino la mia logopedista mi picchiava a causa del mio handicap. Era come se dovessi essere perfetto per la società, a tutti i costi. Invece no, io sentivo di voler affermare la mia diversità perché anche avere l’handicap ci rende unici e speciali. Al lavoro è stato difficile perché non tutte le persone possiedono un labiale perfetto e in molti sbuffavano dandomi della tonta. Un’ulteriore difficoltà per me.
Trovi che il mondo del beauty italiano sia più aperto alle persone trans piuttosto che alle persone disabili?
Il mondo beauty è di tutt* perché è un arte! L'arte è di chi sa applicarla, di chi sa crearla. Non servono etichette e nessun handicap per essere una truccatrice o una consulente d’ immagine.
La video-intervista per Freeda e le partecipazioni a delle note trasmissioni televisive ti hanno permesso di raggiungere un certo grado di popolarità: in che modo questo ha inciso sulla tua vita quotidiana? Hai notato più apertura e accettazione nei tuoi confronti? Quali sono state le conseguenza di una tale esposizione mediatica? Sia positive che negative.
Le interviste rilasciate e le partecipazioni a diverse trasmissioni mi hanno resa ancora più forte. Aiuto le persone che si sentono bloccate, che hanno figli come me e che non hanno idea di come comportarsi. Sono diventata un esempio per molti e proprio loro mi danno la carica per continuare a dare consigli. Credo che l’apertura mentale e la tolleranza si stia estendendo un po’ per volta. D’altro canto, sono stata attaccata da certe persone, soprattutto molto credenti, che mi hanno infamata e offesa con soprannomi veramente assurdi. Questo è il modo di fare di chi crede a una legge prima di avere la coscienza di sé stessi e degli altri. L’unica cosa a cui dovremmo dar conto è vivere la nostra felicità, ognuno come vuole e al di là di tutto.
La video intervista realizzata da Freeda è stata un trampolino di lancio per Martina.
Che rapporto hai con i social e con gli hater? Come li gestisci? Usi i social esclusivamente per lavoro o anche per farti portavoce della tua esperienza personale?
La mia fortuna è che sto imparando al meglio a gestire la mia rabbia ogni qual volta ricevo delle offese gratuite e, addirittura, minacce di morte. Uso il social sia per lavoro sia per farmi da portavoce del mio percorso, cercando di essere un esempio, un sostegno per altre persone. Purtroppo gli hater esistono comunque, e bisogna esserne consapevoli. A volte, capita sia anche il caso di denunciare questo fenomeno.
In linea di massima, hai subito più discriminazione da parte delle donne o da parte degli uomini? Ha senso per te questa domanda?
Nel mio caso ho subito più discriminazioni da parte degli uomini. Da parte delle donne vedo solamente invidia perché magari certune vorrebbero essere forti come me.
Si tende sempre a parlare di eventi traumatici quando si raccontano esperienze del genere. Invece raccontaci di un’occasione o di un aneddoto che ti ha colpito in positivo.
Quando ero piccola mi vestivo spesso da femmina e il mio vicino di casa, Riccardo, mi aiutò con la creazione di una parrucca di lana e mi disse: “sei una principessa”. Quel giorno a 5 anni volevo già essere una bimba perché lo ero! E lo sono ora! Tante persone empatiche mi hanno dato anche la forza per affrontare questa mia nuova vita da " icona". Ringrazio soprattutto loro che mi hanno fatto sorridere nonostante lo scudo dell’isolamento che ho sempre usato per proteggermi.
Che ne pensi della comunità LGBT+? Paradossalmente, hai trovato discriminazione da parte di persone di questa comunità?
Sì, ho subito in particolar modo della discriminazioni da parte di molte transessuali per pura invidia e ciò mi ha portata a restare fuori da quel mondo. Penso che se la comunità LGBT+ avesse meno rivalità e concorrenza al suo interno sarebbe migliore, parlo per esperienza diretta.
Perdona la domanda molto intima, ma la tua identità sessuale ha mai rappresentato un ostacolo per la tua vita sentimentale? Sei mai riuscita ad instaurare una relazione amorosa stabile?
Gli uomini mi hanno sempre considerata un trans e mai una trans, pur essendo una donna. Mi hanno sempre vista e voluta come " trasgressione" e non come una persona da amare veramente. La mia identità sessuale è sempre stata un ostacolo e in effetti le mie relazioni sentimentali non sono mai durate. Ciò non mi rattrista, anzi ricordo ancora più volentieri un famoso detto: “Meglio essere soli che male accompagnati”.
Le difficoltà, il dolore, le offese e le brutture della società segnano la vita, ma possono anche determinare il preludio di una profonda rinascita e, soprattutto in questo caso, di successo. Ringrazio Martina Panini per l'intervista e la sua più totale disponibilità.
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