Nel vortice degli eventi storici, del susseguirsi delle correnti di pensiero e dei cambiamenti della società, solo una cosa rimane immutabile, come la posizione plastica del Nettuno di Bologna: l’estraneità del lucano allo Stato.
Il referendum con cui si è deciso sul taglio dei parlamentari ha fatto riemergere dalle nebbie della mia memoria l’immagine del lucano dipinta da Carlo Levi nella sua opera più conosciuta, Cristo si è fermato a Eboli. In realtà, più che dipinta, lo scrittore genovese l’ha proprio scolpita, dando quasi una forma multidimensionale ai tratti dell’animo e della visione della vita; Levi ha scavati fino alle radici di quel senso di amarezza, rassegnazione ed improvvisa ribellione che animano il contadino di Aliano (o Agliano, siamo sempre negli anni ’30).
Il lucano, in quel libro, si sente lontano dallo Stato. Lo percepisce come un’entità sovrannaturale, un dio sceso in terra che, però, non aiuta né offre nulla, ma pretende soltanto sacrifici votivi.
Con il corpo fiaccato dalla malaria, il contadino lucano parla poco. Il fiato lo usa per lavorare la terra, tornare a casa e, di tanto in tanto, lamentarsi per i salassi cui lo sottopone quella macchina infernale tricolore. Ma non ce la fa.
Il lucano non crede nello Stato, perché non lo ha mai visto in faccia: non conosce la modernità delle città italiane, non possiede un telefono in casa, né sa cosa voglia dire essere curato in ospedale. Dello Stato conosce solo le gravose tasse, gli inni al fascismo intonate dal podestà che risuonano come inutili canzonette nella sua mente, le notizie sulla guerra in Abissinia. Già, la guerra in Abissinia. A chi gli chiede se sia entusiasta delle conquiste italiane nella lontanissima Africa, lui risponde laconico, disilluso e risentito: “Cosa me ne faccio? Non c’è terra per noi lì”. Il lucano spera in un miracolo che, n'è consapevole, non arriverà mai. Allora si rassegna, e continua nella miseria a lavorare.
Ma ci sono momenti in cui tutto questo svanisce, nel preciso momento in cui l’ennesima ingiustizia scoperchia il vaso di Pandora della sua rabbia repressa. Deve essere qualcosa che lo tocca nel profondo, qualcosa che gli è vicino e gli fa toccare con mano quanto sia crudele portargli via anche quel pochissimo che gli rimane. In particolare, nel libro viene raccontato l’episodio in cui a Carlo Levi, ormai divenuto il medico di Aliano, viene proibito dalla Procura di esercitare la professione e continuare a curare i malarici .
Ed è proprio lì che riaffiora, impetuoso, il sentimento di rabbia e ribellione che apparteneva ai loro eroi Carmine Crocco e Ninco Nanco. Perché i briganti, nella loro sanguinosa e truce resistenza, rappresentano per il contadino il paradigma della miseria che si ribella all’ordine costituito. Sono i loro eroi, il loro “Stato”, ed incarnano pienamente il senso di diffidenza e di distanza da chi vuole portargli via tutto. Ma allo stesso modo in cui la lotta dei briganti si conclude nel (loro) sangue, così la loro rabbia violenta ed impulsiva si placa (nel libro per atto di convincimento di Carlo Levi) e il loro stato d’animo ripiomba in una cupa e misera rassegnazione all’immutabile quotidianità.
Ma perché questo parallelismo?
Perché, a distanza di quasi un secolo, nulla è cambiato: la modernità ha raggiunto anche la Basilicata, ma non abbastanza da renderla uguale alle altre Regioni del Sud. Figuriamoci a quelle del resto d’Italia.
Perché il lucano si sente ancora distante e abbandonato dallo Stato che non si è preoccupato più di tanto dello scandalo degli sversamenti del Centro Oli di Viggiano, del conseguente aumento dei tumori della zona, delle infrastrutture e dei servizi di base che mancano, della sanità che, dopo la riapertura post-pandemia, è rimasta ancora chiusa e bloccata. A oggi, infatti, le visite specialistiche non sono ancora permesse negli ospedali. Ospedali che, comunque, sono pochi in numero, lontani e arretrati nell’organizzazione.
La classe politica, in tutto ciò, è rimasta immobile a osservare una terra potenzialmente ricca (c’è il petrolio, c’è acqua che rifornisce le Regioni confinanti) svuotarsi e venire depauperata. Non basta cullarsi sull’effimero successo di eventi di facciata (vedi Matera “Capitale della cultura” nel 2019) , o frutto di una serie di congiunture astrali, come la gestione ottimale di una pandemia che non ha toccato più di tanto la mia terra, bella e selvaggia.
Per questo, e altro ancora, al lucano non cambia nulla se al referendum ha vinto il SI .
Per lui e la sua terra non cambia nulla, anche se cambia tutto.
A cura di Mattia Crispino
Comments