Introduzione
La vaccinazione è una procedura terapeutica affidabile ed efficace nel prevenire l’insorgenza di specifiche malattie. La sua scoperta si deve alla geniale intuizione di un medico delle campagne inglesi, Edward Jenner, che alla fine del Settecento si dedicò alla battaglia contro il vaiolo. Egli osservò che i contadini contagiati dal vaiolo bovino, una volta superata la malattia, non si ammalavano della sua variante umana, di gran lunga più grave. Nel maggio 1796 Jenner prelevò dalla pustola di una donna ammalata di vaiolo bovino (vaiolo di vacca -> vaccino) del materiale purulento e lo iniettò nel braccio di un ragazzo di 8 anni di nome James Phipps. Dopo alcuni mesi, al ragazzo fu inoculato del pus vaioloso umano, ma, come previsto da Jenner, il virus non attecchì. James fu il primo a diventare immune ad un virus senza esserne mai stato ammalato.
Da quel giorno sono molteplici gli esempi di patologie eliminate grazie all’introduzione dei vaccini come il vaiolo stesso, dichiarato eradicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980 o, più di recente, la poliomielite che pur essendo scomparsa da anni dai paesi sviluppati, continuava ad imperversare nel continente Africano. Inoltre, un adeguata campagna vaccinale ha permesso di ridurre drasticamente la prevalenza di malattie croniche di origine virale, prima fra tutte l’epatite B, e di contenere la diffusione di svariate infezioni come le meningiti, le malattie esantematiche o l’influenza stagionale.
Come funzionano i vaccini?
Dal punto di vista fisiologico il vaccino agisce stimolando il nostro organismo a sviluppare una risposta immunitaria specifica e duratura contro un agente patogeno. Questo avviene tramite la somministrazione di alcuni frammenti caratteristici di quel microrganismo. In tal modo il sistema immunitario produce una “memoria immunologica” estremamente specifica che, nel caso di contatto con l’agente patogeno, gli permetterà di riconoscerlo ed eliminarlo efficacemente prima che questo possa causare l’infezione. Questo processo si definisce “immunizzazione attiva”.
Inoltre, bisogna precisare che i vaccini sono dei farmaci assolutamente sicuri. Questi infatti, come tutti i farmaci, si sono evoluti molto nel corso dei decenni. I primi contenevano l’agente patogeno “attenuato” (indebolito) o “inattivato” (morto). Questo comportava un rischio, seppur minimo, che il paziente potesse effettivamente sviluppare la malattia a causa della vaccinazione. Oggi questo rischio è stato abbattuto grazie all’introduzione dei vaccini “polisaccaridici” e “coniugati”. Questi infatti contengono esclusivamente frammenti del microrganismo, in grado di stimolare fortemente il sistema immunitario ma non di causare la patologia.
COVID-19
La pandemia da SARS-COV-2 che causa la sindrome da COVID-19 attualmente sta affliggendo l’intero globo a causa, in prima istanza, della mancanza di difese immunitarie specifiche contro di esso. I coronavirus, infatti, esistono da ben prima del 2020, molti di noi certamente ne sono già stati infettati senza esserne consapevoli e sono guariti dopo un banale raffreddore o mal di gola. Questa guarigione non problematica è garantita dalla presenza di alcune strutture sulla superficie virale dei coronavirus, che il nostro organismo è in grado di riconoscere ed aggredire. Il SARS-COV-2 tuttavia, pur appartenendo alla stessa famiglia di virus sostanzialmente innocui, ha sviluppato alcune caratteristiche che gli permettono di eludere il sistema immunitario. Com’è stato possibile? I meccanismi che permetto ai virus di riprodursi non sono perfetti. Di conseguenza, ogni volta che un virus compie un ciclo replicativo può commettere degli “errori” che porteranno alla formazione di microrganismi differenti rispetto al progenitore. Nella maggior parte dei casi queste differenze sono talmente piccole da non modificare le caratteristiche del virus. Talvolta però, il progressivo accumularsi di mutazioni può alterarne a tal punto la struttura da renderlo profondamente diverso, un virus sostanzialmente nuovo.
Un evento tale porta con sé enormi conseguenze. Poiché nessuno era mai entrato in contatto con questo microorganismo nessun sistema immunitario possiede i mezzi per contrastarlo efficacemente, rendendo chiunque vulnerabile all’infezione. Inoltre, il virus presenta un elevato tropismo per il parenchima polmonare grazie alla presenza di una proteina “spike” che gli permette di invadere la cellula respiratoria, rendendolo estremamente pericoloso, soprattutto se contratto da individui “fragili”. A questo si aggiunge che la nuova struttura del virus ha reso i vecchi farmaci antivirali del tutto (o quasi) inefficaci, lasciandoci senza armi nella lotta contro questo nemico invisibile.
Considerando tutti questi fattori appare chiaro come l’unico mezzo realmente efficace per porre fine alla diffusione del SARS-COV-2 sia la produzione e la distribuzione di un vaccino che, rendendoci immuni al virus, interrompa la catena di contagi.
Vaccino SARS-COV-2
La necessità di trovare un vaccino efficace nel prevenire la sindrome da COVID-19 era già chiara sin dall’inizio della pandemia. Da quel momento moltissimi laboratori, aziende farmaceutiche ed università di ogni angolo del globo si stanno prodigando per questo scopo, la strada però è tutt’altro che semplice. I nuovi farmaci, prima di poter essere utilizzati, devono essere sottoposti a molte approvazioni e ad un lungo processo di verifiche che ne certifichino gli effetti terapeutici e collaterali.
Questo processo viene diviso macroscopicamente in due momenti: una fase “preclinica”, in cui avviene la sintesi chimica, ed una fase “clinica” in cui il trattamento viene testato su soggetti umani. La fase clinica viene a sua volta suddivisa nelle fasi I, II e III che analizzano campioni progressivamente più ampi e rappresentativi. Infine il farmaco viene messo in commercio ed inizia la fase IV o di “farmacovigilanza”, in cui viene sottoposto ad uno stretto monitoraggio, raccogliendo tutte le segnalazioni su eventuali effetti avversi non emersi durante le fasi precedenti. Normalmente, tutto questo, richiede diversi anni per essere portato a termine. Tuttavia, per far fronte alla crescente emergenza globale, gli enti responsabili come il Comitato Etico (CE) dell’ISS, l’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) e l’FDA statunitense, hanno permesso di velocizzare tali procedure, pur mantenendo gli standard di sicurezza, in modo da poter fornire una soluzione nel più breve tempo possibile. Grazie a tutto questo, in meno di un anno, diverse aziende farmaceutiche hanno ottenuto ottimi risultati ed i loro vaccini si trovano già in fase III di sperimentazione, ad un passo dall’approvazione e dall’immissione in commercio.
In particolare, sono tre i vaccini contro il Covid-19 in avanzato stato di sperimentazione: Quello prodotto da AstraZeneca, multinazionale svedese-britannica con sede a Londra, in collaborazione con lo Jenner Institute dell’Università di Oxford e con la Irbm di Pomezia; quello di Moderna, realizzato in collaborazione con il National institute of health (Nih) e quello prodotto da Pfizer/Biontech, l’unico ad aver già concluso la fase III della sperimentazione e che sarà il primo ad arrivare in Italia.
Ogni vaccino è stato sviluppato in totale autonomia dalle singole aziende farmaceutiche, di conseguenza ognuno presenta caratteristiche peculiari sia dal punto di vista fisico-chimico che come efficacia terapeutica.
Fonte: Insidetrend.it
Pfizer/Biontech
Il vaccino prodotto dal colosso americano Pfizer in collaborazione con la Biontech è l’unico ad aver concluso la fase III di sperimentazione e ad essere ad un passo dall’approvazione dell’FDA. La casa farmaceutica inoltre ha dichiarato in questi giorni che il suo prodotto presenta un’efficacia del 95% (e non del 90% come divulgato inizialmente) e che non ha mostrato effetti collaterali gravi.
Come funziona?
Il vaccino BNT162b2 (questo il nome scientifico) condivide il medesimo meccanismo d’azione del diretto concorrente, il vaccino mRNA1273 di Moderna.
Entrambi utilizzano una tecnologia innovativa basata sull’iniezione di segmenti di materiale genetico virale detto mRNA o RNA messaggero. In particolare, l’mRNA contenuto nel vaccino è circondato da nanoparticelle lipidiche (grasso) che, una volta iniettate nell’organismo permettono al materiale genetico di essere internalizzato nelle cellule. A questo punto le cellule del nostro corpo possono utilizzare l’mRNA virale come guida per sintetizzare la struttura più caratteristica del virus, la proteina Spyke. Quest’ultima, prodotta nel nostro organismo in assenza del virus, non ha alcuna capacità patogenetica ma, al contrario, rappresenta un forte stimolo immunogeno. Sarà utilizzata infatti dalle cellule del sistema immunitario per sviluppare una risposta specifica contro il SARS-COV-2, sia di tipo umorale (per mezzo di anticorpi prodotti dai linfociti B) che citotossica (mediante i linfociti T CD8 che riconoscono ed uccidono le cellule infette).
Conservazione
Il più grande limite di questo prodotto sembra essere la conservazione. Il vaccino infatti richiede temperature glaciali affinché le molecole di mRNA al suo interno non vengano denaturate. L’azienda ha comunicato che il prodotto deve essere conservato a temperature inferiori ai -75°C in speciali refrigeratori e che in queste condizioni ha una vita di circa 6 mesi. Per la distribuzione invece verranno utilizzate delle scatole speciali da mille-5mila dosi riempite con ghiaccio secco e dotate di sensori Gps. Da questo momento in poi potranno essere conservati in un convenzionale congelatore per un massimo di 5 giorni o negli appositi refrigeratori per un massimo di 15, a condizione che il ghiaccio secco venga reintegrato e che le scatole non vengano aperte più di due volte al giorno.
Distribuzione
Nella seconda metà di gennaio, secondo quanto prevede Domenico Arcuri (commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19) comincerà la distribuzione dei primi 3,4 milioni di dosi del vaccino Pfizer. Poiché richiede una doppia somministrazione per paziente a distanza di 21 giorni, la vaccinazione riguarderà 1,7 milioni di italiani, quota stabilita da un accordo europeo. Solo per il vaccino Pfizer la Ue ha opzionato 200 milioni di dosi, da ricevere entro il 2021, più altre eventuali 100, che per l’Italia ammontano a 27 milioni di dosi (il 13,51 % del totale). Per quanto riguarda gli altri vaccini, occorrerà aspettare la fine delle sperimentazioni ed i processi di autorizzazione europei e nazionali. Secondo Arcuri, "una parte importante della nostra popolazione riceverà la somministrazione dei vaccini entro il primo semestre o il terzo trimestre del prossimo anno”.
Moderna/Nih
Moderna ha annunciato che il suo vaccino contro il Covid-19 ha una efficacia del 94.5%. L'azienda prevede di disporre di circa 20 milioni di dosi entro fine 2020 da destinare agli Usa e ha reso inoltre noto di essere sulla buona strada per la produzione totale di 500 milioni-1 miliardo di dosi nel 2021, dei quali 160 milioni di dosi sarebbero destinati all’UE.
Come funziona?
Il meccanismo d’azione del vaccino mRNA1273 di Moderna, come detto sopra, è analogo al vaccino dell’azienda Pfizer. Le principali differenze consistono nei tempi di somministrazione, che per il vaccino di Moderna sarà di due dosi a distanza di 4 settimane (e non di 21 giorni come per quello di Pfizer), e nelle temperature di conservazione.
Conservazione
Il più grande vantaggio di questo vaccino consiste in una maggiore stabilità del prodotto a temperature meno estreme rispetto al concorrente. Moderna infatti ha annunciato che il materiale genetico rimane stabile a normali temperature di refrigerazione, tra i 2 e gli 8°C per un massimo di 30 giorni, e che sarà possibile conservarlo a lungo termine, fino a 6 mesi, a temperature standard di congelatore (intorno ai -20°). Questo elemento potrebbe risultare essenziale per permettere una distribuzione capillare del prodotto in tutto il mondo.
AstraZeneca/ Oxford University/ Irbm
L’università di Oxford, in collaborazione con l’Irbm di Pomezia, rappresenta il terzo concorrente in “gara” per la produzione del vaccino che sarà poi commercializzato da AstraZeneca. Tuttavia rispetto ai precedenti due si trova più in dietro nell’iter produttivo, ha appena concluso la fase II ed ha raccolto i dati preliminari per la fase III. Nonostante questo, possiede alcune caratteristiche che lo rendono molto promettente, tra cui: l’efficacia (sopra il 90%), il meccanismo d’azione, il prezzo e la conservazione.
Come funziona?
Il vaccino della Oxford University utilizza una tecnologia differente e ben più nota rispetto a quella a mRNA. Quest’ultima infatti non era mai stata utilizzata per produrre un vaccino sull’uomo, nonostante ne sia stata dimostrata l’efficacia e la sicurezza. Il vaccino di AstraZeneca invece utilizza il meccanismo del “vettore virale”, già ampiamente utilizzato e conosciuto dalla comunità scientifica internazionale. Ciò è stato possibile unendo l’esperienza dell’Università di Oxford,che aveva già studiato sull’uomo l’immunizzazione contro il virus Mers, con quella dell’Irbm di Pomezia, esperti nel campo degli adenovirus depotenziati e che avevano già testato questo tipo di vaccino contro il virus dell’Ebola. Il vaccino Oxford- AstraZeneca dunque è stato realizzato partendo da uno dei virus che causano il raffreddore comune negli scimpanzé. I ricercatori hanno trasferito il materiale genetico della proteina Spyke, inserendola nel virus ottenuto dagli scimpanzé e reso innocuo per gli esseri umani. In questo modo, il sistema immunitario impara ad attaccare la proteina, così da potere anche affrontare le eventuali infezioni causate dal coronavirus vero e proprio.
Conservazione e distribuzione
I due maggiori punti di forza di questo vaccino sono la maggiore stabilità del composto e l’accessibilità economica. Per la conservazione del vaccino infatti saranno sufficienti temperature raggiungibili da qualsiasi freezer (-4°C), semplificando enormemente anche i problemi legati al trasporto dello stesso. Dal punto di vista economico inoltre, AstraZeneca ha annunciato che il vaccino sarà venduto a prezzo di costo, cioè 2,8 euro fino al giungo del 2021 e comunque fino a quando sarà mantenuta la dichiarazione di pandemia da parte dell’Oms. Un prezzo modesto se confrontato agli almeno 20 euro di Moderna (che potrebbero essere anche 30 euro) e i 16,5 euro di Pfizer, secondo quanto rilasciato dal New York Times.
Non è ancora sicuro inoltre il numero di somministrazioni necessarie per questo vaccino poiché, nonostante gli studi prevedano l’utilizzo di due dosi, nella maggior parte dei casi già la prima si è dimostrata protettiva.
Infine, circa la distribuzione del vaccino, è stato firmato un contratto con l’UE per 400 milioni di dosi che saranno distribuite a seguito dell’approvazione del farmaco, di cui 70 milioni saranno destinate all’Italia entro Giugno 2021.
Effetti collaterali
La rivista “Science” ha diffuso una ricerca secondo la quale sono stati rilevati «effetti collaterali intensi, ma non pericolosi e tutti di breve durata, in alcuni volontari delle sperimentazioni dei vaccini anti-Covid di Pfizer e Moderna». La frequenza sarebbe più alta rispetto ad altri vaccini, come quello per l’influenza. Meno del 2% dei volontari ha avuto febbre alta tra 39 e i 40 gradi e con quello di Moderna il 9,7% ha riportato fatica, l’8,9% dolori muscolari, il 5,2% dolori alle articolazioni e il 4,5% mal di testa. Dunque, effetti non invalidanti e rapidamente riassorbiti che non mettono in dubbio l’efficacia dei vaccini e la necessità di usarli.
Sarà obbligatorio?
L’obbiettivo fondamentale nelle campagne vaccinali è sempre quello di raggiungere una copertura maggiore al 90/95% della popolazione, in modo da ottenere la cosiddetta “immunità di gregge” e proteggere indirettamente anche coloro che non sono stati vaccinati.
Attualmente il vaccino non sarà obbligatorio per la popolazione, ma “fortemente raccomandato”, ad eccezione delle professioni sanitarie e di pubblico servizio, per le quali la vaccinazione dovrà essere una condizione necessaria per continuare ad esercitare il proprio lavoro. Sarà dunque fondamentale mettere in atto una campagna persuasiva da parte dei governanti e di tutte le figure sanitarie che sensibilizzi la popolazione all’aderenza vaccinale.
Il commissario Arcuri inoltre ha introdotto una possibile soluzione per migliorare la tracciabilità dei soggetti vaccinati: un patentino informatico. Il Ministero della Salute starebbe progettando una piattaforma informatica che, come riportato dal commissario “consentirà di gestire la verifica della somministrazione per sapere come si chiamano le persone che hanno fatto il vaccino e dove lo hanno fatto”.
Inoltre il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, si è sbilanciato durante un’intervista dichiarando che dovrebbe essere introdotta un “obbligatorietà per fasce d’età” e non è escluso che l’argomento sarà tema di dibattito in parlamento.
Quel che è certo però è che la distribuzione avverrà per scaglioni ed in modo strategico, iniziando dalle categorie più a rischio, come i pazienti anziani, con malattie respiratorie o comorbidità importanti, e dando la priorità a quelle strutture in cui si registra un maggior tasso di contagi ovvero gli ospedali e le strutture sanitarie.
A cura di Michele Minacori Medico Chirurgo.
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