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DICTATOR

Mentre il resto del mondo guarda con preoccupazione alla pandemia, alcuni governi nazionali stanno sfruttando l'emergenza Covid-19 per trasformare una democrazia in un regime. É il caso del premier ungherese Orban il quale, con il decreto di fine Marzo, ha instaurato una dittatura de facto. Il tutto nel silenzio dell'UE.


Another brick in the wall. Quello che Orban sta costruendo tra l’Ungheria e la democrazia, e che più in generale sembra rispecchiare il nuovo trend della geopolitica, quello dei governi dispotici e pseudodittatoriali di impronta populista e conservatrice. Le forme di governo sono un po' come le mode dell’abbigliamento: prima o poi qualcosa, ritenuto improponibile fino a qualche anno fa, ritorna dal passato e si impone con una certa veemenza.

D’altro canto, il momento migliore per l’instaurazione di un regime totalitario è sempre quello di un’emergenza che un Paese vive: Viktor Orban, 56 anni, sembra aver colto il momento con precisione pressochè chirurgica. Il Coronavirus sta galoppando con ferocia come Attila e il suo esercito di Unni, e la sua gestione, naturalmente, rappresenta una priorità che “distrae” l’Unione Europea; lo ribadisce anche Gabor Polyak, a capo della ONG Mertek Media Monitor, che si occupa di libertà di stampa : «Un’emergenza sanitaria non è il momento opportuno per fronteggiare gli autoritarismi ». E’ questo il momento propizio per il leader di Fidesz. Il 30 Marzo, per gestire al meglio l’emergenza provocata dal nuovo virus, viene approvato un decreto con cui egli priva, sostanzialmente, di ogni potere il Parlamento, avocando a sé ogni imperio. Dal momento dell’emanazione del provvedimento, l’esecutivo potrà governare ad oltranza, senza limiti di competenza e senza che il Parlamento, organo collegiale di approvazione e controllo, possa intervenire. In alcun modo. Piccola parentesi: il decreto è stato approvato dal Parlamento con 138 voti a favore e 53 contrari, ma il leader e fondatore di Fidesz (partito che vanta 32 anni di attività) aveva la maggioranza dei due terzi già prima che si “autoconcedesse” poteri assoluti. Orban, sfruttando la questione dell’emergenza sanitaria, offre dunque una rivisitazione in chiave moderna della figura del dictator, magistrato straordinario che, in epoca romana, era fornito di imperium maius, cioè della pienezza dei poteri civili e militari, potendo inoltre sospendere tutti gli altri magistrati. L’istituzione di una figura del genere era volta ad assicurare unità di direzione dello Stato in caso di gravi pericoli. Il parallalesimo, a quanto pare, risulta essere quantomai calzante. La differenza sostanziale risiede nel fatto che l’Orban-dictator si pone quale soluzione di extrema ratio di un’emergenza sanitaria che ha provocato egli stesso con i cospicui tagli alla sanità degli scorsi anni. Il decreto approvato a fine Marzo gli consente di evitare dibattiti sulla gestione tanto della situazione sanitaria quanto delle misure anti-Covid, nonché di entrare in un’ipotetica situazione di win-win: in un futuro più o meno prossimo, qualora dovesse annunciare la fine del decreto (e dei suoi poteri illimitati), potrà uscire vincitore dicendo che è stato capace di guidare da solo il Paese attraverso una crisi e che le voci sull’instaurazione di un totalitarismo erano infondate; qualora dovesse decidere di prorogare tali misure, non ci sarà nessuno pronto a porsi come ostacolo. Perché il nodo cruciale è che, alla luce della portata del potere che ha avocato a sè, non saranno solo i media indipendenti ad avere timore di parlare (l’Ungheria è 87a, su 180 Stati, nel World Press Freedom Ranking 2019, stilato da RSF), ma anche il personale sanitario. In una situazione di incertezza sul futuro della democrazia, nessuno oserebbe rischiare tanto. Inoltre, il testo del decreto prevede anche una pena fino a 5 anni di reclusione per chi diffonde fake news: in un contesto in cui un capo di governo decide di evitare che si sollevino perplessità sulle condizioni del SSN magiaro, appare quasi pleonastico che notizie relative alla drammaticità delle condizioni dei presidi ospedalieri (o dei veri numeri sui contagi) possano essere ritenute false. E anche pericolose, giacchè provocano panico nella popolazione e minano l’efficacia della strategia anti-pandemia. Ma l’elevazione di Orban a lider maximo è solo la punta dell’iceberg di un processo iniziato ben 10 anni fa, nel silenzio di un’Unione Europea i cui membri principali, come la Germania (ricordiamoci che l’UE nasce come una sorta di società di mutuo soccorso, ma nei fatti vigono le stesse dinamiche di potere di tutti gli altri sistemi economici… Mors tua, vita mea) avevano interesse a non intaccare i rapporti commerciali con il Paese magiaro. Solo ora, a fronte delle preoccupazioni suscitate da questo “totalitarismo in fasce”, dodici Stati Membri (tra cui Italia e Germania) hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui viene espressamente affermato che « le misure straordinarie sono legittime se servono a proteggere i cittadini, vanno limitate al necessario e devono essere temporanee; preoccupano i rischi di violazione della democrazia e dello Stato di diritto, della libertà di espressione o di stampa». Senza tuttavia menzionare esplicitamente l’Ungheria. Ed è qui si inserisce l’azione di “trollaggio diplomatico” dell’ex oppositore del regime sovietico: la dichiarazione, infatti, è firmata anche dall’Ungheria. Game, set, match. I presupposti per un ritorno di fiamma dei regimi ci sono, viste anche le azioni di altri Stati che, cogliendo l’emergenza Coronavirus, stanno attuando misure che intaccano i diritti civili dei cittadini: oltre ai casi di Bolivia, Cile, Filippine (in cui il presidente Dutarte ha dato incarico alla polizia di sparare a chi viola la quarantena), si segnala quello di Israele, in cui il premier Netanyahu ha autorizzato l’agenzia di sicurezza israeliana a rintracciare i cittadini utilizzando una serie segreta di dati dei loro cellulari. Oppure il caso indiano, in cui la polizia ripristina l’ordine a suon di manganellate nei confronti di chi infrange le regole, o li costringe ad eseguire flessioni o squat a corpo libero ( devo ammettere, però, che sembrano aver preso sul serio il concetto di “mens sana in corpore sano”). D’altro canto, Orban, come tanti dittatori nelle loro metamorfosi, è passato ad un orientamento politico antitetico a quello sostenuto nei primi anni di attività (improntato su filo-occidentalismo, sensibilità ai temi sociali, liberismo economico, attenzione ai diritti umani e alle minoranze). Come loro, ha alzato un muro contro i migranti (la legge del 2018, “Stop-Soros”, vieta persino la stampa di volantini recanti informazioni utili per i richiedenti asilo, come offrire loro cibo e consigli legali), definendoli “nemici pericolosi” in diversi discorsi. E, guardando tra le pieghe dell’ultimo decreto, ha alzato un muro contro chi presenta un’altra forma di “diversità”: la comunità LGBT. Da adesso in Ungheria le autorità non potranno più registrare sui documenti di identità il nuovo genere di qualsiasi persona che abbia cambiato sesso. Chi ha cambiato sesso e vuole un matrimonio o convivenza con una persona di sesso diverso non sarà più per lo Stato parte di un'unione etero. E i matrimoni gay in Ungheria non sono ammessi. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’epidemia. Another brick in the wall. A cura di Mattia Crispino


Immagine in copertina: primo piano di Viktor Orban

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