Diciamoci la verità: tutti gli artisti sono bravi a loro modo. Però non tutti sono capaci di entrarti e riempirti l’anima; sono pochi a riuscirci e Ana Mendieta è una di loro. Nata a Cuba e cresciuta in America, Ana non trova una collocazione ben precisa nella storia dell’arte perché non appartiene a nessun movimento artistico definito. Ana è un’artista eclettica, forte, vitale e libera che utilizza la performance, la fotografia, la pittura, i video, la Body art e la Land Art per esprimere ciò che ha di più intimo che poi inaspettatamente diventa universale.
Non penso servano le parole di chi l’ha conosciuta per conoscerla; penso che il suo lavoro lo faccia già perché lei era ciò che faceva. Delle opere così oneste e sincere, semplici e crude, energetiche e passionali, poetiche e violente, e per certi versi anche banali a volte che ti spingono a pensare "Ma come le è venuto in mente di fare una cosa simile? E perché poi?". Dei lavori di Ana penso due cose contrastanti: le puoi capire solo se conosci la sua storia e le puoi capire interpretandole a tuo modo. In entrambi i casi, non fai nulla di sbagliato perché che cos’è l’arte se non una propria interpretazione del mondo? L’arte non è arte se deve essere legata necessariamente a letture e interpretazioni già stabile da qualcun’ altro.
Dunque, ecco la storia di Ana. Interpreta e leggi le sue opere a tuo modo. Perditi nei suoi lavori, tanto intimi quanto universali.
Perché Ana Mendieta?
Perché penso che il mondo dell’arte non sia stato in grado di diffondere la sua arte come in realtà Ana meritava, un pò perché messa all’ombra dalla tragica fine della sua vita, che è stata molto più di interesse rispetto ai suoi stessi lavori. Quindi penso sia doveroso far conoscere un’artista così complessa, reale, potente, con una forte vitalità, scossa da felici e drammatici episodi di vita come Ana a chi non la conoscesse già.
Vita di Ana Mendieta
Ana nasce a L’Avana nel 1948 da una famiglia cubana benestante. All’età di 12 anni, dopo che il padre si unisce alle forze anti-Castro, Ana, insieme alla sorella Raquelín, è costretta a lasciare la sua amata Cuba per andare negli Stati Uniti attraverso l’Operazione Peter Pan; un programma collaborativo tra il governo americano e la chiesa cattolica per far espatriare più minori possibili durante la rivoluzione cubana, e Ana e Raquelín sono tra quei 14.000 minori.
Senza fissa dimora, Ana e Raquelín arrivano in Iowa e i loro primi due anni sono un continuo spostamento tra campi profughi, orfanotrofi e case famiglia. Passano anni quando le sorelle si riuniscono finalmente con il resto della famiglia in America. Nonostante le difficoltà iniziali nel trovarsi in un luogo sconosciuto, Ana scopre l’amore per l’arte durante i suoi studi, conseguendo una laurea e un master in pittura e un secondo master in intermedia presso l’Università di Iowa (1972 - 1977). Da lì, Ana sperimenta con vari media e produce una quantità impressionante di lavori.
Questi sono gli anni in cui personalità artistiche molto forti e ben conosciute come Bruce Nauman, Vito Acconci, Carolee Schneeman, Cindy Sherman e Marina Abramovic sono già presenti nel mondo dell’arte. In questo contesto, Ana entra in scena con una personalissima visione artistica, facendo uso dei vari new media quali la fotografia, i video e la performance, mai usati in una maniera così personale che Ana sembra quasi non ispirarsi a nessuno tranne che a se stessa. Susseguono lavori su lavori, fellowships e residenze per artisti, viaggi a Roma che le permettono di conoscere altri materiali da lavoro, viaggi in Messico e nella sua amata Cuba dove riscopre una vitalità ancestrale che sarà sempre presente nei suoi lavori.
Intono alla metà dei anni ’70, i lavori di Ana iniziano a essere esposti internazionalmente e nel 1978 si trasferisce a New York, una delle culle dell’arte del Paese americano. Un anno dopo conosce lo scultore minimalista Carl Andre, che sposerà nel 1985. Questi sono anni in cui Ana esprime liberamente la sua arte e viene riconosciuta per questo; è anche invitata a esibire i suoi lavori in una mostra sponsorizzata del governo cubano, il ritorno in patria.
Where is Ana Mendieta?
E’ l’8 settembre del 1985, 8 mesi dopo dal suo matrimonio con Carl Andre, quando Ana muore a New York da una caduta dal suo appartamento al 34esimo piano in Greenwich Village. Nessuno vede niente, nessuno sa come e perché muore; solo i vicini sentono la coppia discutere animatamente. E’ Andre a chiamare la polizia dicendo di aver avuto una discussione con la moglie, artista come lui, riguardo al fatto che lui è molto più conosciuto di lei nel mondo dell’arte. La moglie và in camera da letto e quando lui la raggiunge, lei è fuori dalla finestra. Non si sa se ciò che Andre racconta è la verità o solo una parte. Chi la conosceva dice che Ana non si sarebbe mai uccisa, amava troppo la vita. Nel 1988, Andre è accusato di omicidio; il suo avvocato lo difende descrivendo la morte di Ana come un possibile incidente o un suicidio. Andre è giudicato non colpevole per mancanza di prove sufficienti. La sentenza causa la risposta di molte femministe nel mondo dell’arte e non, e rimane ancora avvolta da controversie.
Nel 1992, il Guggenheim Museum di New York inaugura una galleria d’arte a SoHo. L’opening fu memorabile non tanto per le opere d’arte, quanto per ciò che succede fuori la galleria: centinaia di attiviste e protestanti femministe camminano per la strada con poster che sù scritto “Where is Ana Mendieta?” (Dov’è Ana Mendieta?). Nel 2010, a 25 anni dalla scomparsa di Ana, a New York si tengono una mostra e un simposio per commemorare le sua tragica morte. Il titolo è Where is Ana Mendieta?
L'opera di Ana Mendieta: corpo e natura
I lavori di Ana non sono facili da presentare. I primi anni universitari, tra il 1972 e il 1973, sono caratterizzati da un uso molto sperimentale del suo corpo. Forse un pò spinta dal trend femminista di quegli anni, Ana vede e usa il suo corpo come mezzo per esaminare la soggettività femminile e l’identità di genere non solo nel contesto artistico, ma anche in quello sociale, culturale e politico. Schiacciando parti del suo corpo su una lastra di vetro, Glass on Body (1972) è una serie fotografica in cui Ana manipola la sua faccia, il suo seno, le sua gambe dando loro una forma distorta e quasi grottesca. Facial Hair Transplant (1972) è un’altra serie fotografica, presentata come progetto per la sua tesi di master, in cui Ana esamina l’apparenza fisica dell’identità di genere. Ana è fotografata con dei peli, tagliati dalla barba del suo amico Morty Sklar, attaccati al suo viso, trasformandosi concettualmente in un uomo (Blocker, 1999). [1]
Nel 1973, Ana crea Untitled (Rape Scene), di cui ciò che ci rimane è soltanto una preziosa documentazione fotografica. Questo lavoro è una risposta allo stupro e all’omicidio di una studentessa, Sara Ann Otten. Ana stessa afferma di aver creato questo lavoro «come una reazione contro l’idea della violenza sulle donne». Ana invita professori e studenti al suo appartamento che la trovano nel mezzo della ricreazione della scena dello stupro come riportata dalla stampa. Riesci a immaginare la sensazione di quelle persone che entrano in quell’ appartamento e trovano questa scena? Ana rimane lì in quel modo, immobile, per un'ora.
«Non vedo l’ essere teorico su un problema del genere» dice.
Perché l'unico modo per rappresentare e denunciare il mostruoso e orribile atto di stupro è solo riprodurlo vivacemente. In questo modo lascia che i suoi ospiti siano i testimoni.
Il corpo è sempre protagonista nelle opere di Ana, non è soltanto un mezzo artistico ma è soprattutto il mezzo che l’artista usa per esprimere sensazioni, idee e visioni. Ad Ana piace sempre di più sperimentare con il suo corpo e fondersi con la natura ed elementi naturali come la terra, l’acqua, il fuoco, il vento. Affascinata dagli archetipi interculturali, Ana si appropria spesso di simboli e aspetti delle pratiche cerimoniali delle tradizioni africane, afro-cubane come la Santeria, dell'antica Europa e i Taino (abitanti delle Antille preispaniche), trasformandoli in qualcosa che era un «riflesso di se stessa».
Il sangue, preso da riti sacrificali e credenze ancestrali, è uno degli elementi caratterizzanti dei lavori di Ana. Untitled (Chicken piece) (1972), Sweating Blood (1973), Body Tracks (1982) sono tre esempi di come Ana usava il suo corpo insieme al sangue.
Il distacco forzato e violento dalla sua amata Cuba porta Ana a esaminare molto il tema dello sradicamento e dell’appartenenza. Nasce così ciò che lei definisce earth-body works, lavori di terra-corpo. Siluetas (1973-1980) e Fetish (1973-1980) sono una serie di performance e sculture all'aperto, di cui ne abbiamo testimonianza attraverso fotografie e video, iniziate proprio da un viaggio compiuto in Messico. Ispirata dall’ambiente e dalla cultura messicana ancestrale, Ana posiziona il suo corpo nudo ricoperto da fiori bianchi ed erba sopra un’antica tomba di un parco archeologico vicino a Oaxana; crea la sua prima silueta, a cui ne susseguono infinite e in svariate forme e materiali.
L’uso del suo corpo nelle Siluetas e nella serie Fetish si fa sempre più sperimentale fino a scomparire: dal 1975, infatti, Ana sostituisce il suo corpo con semplici sagome, che evocano un corpo umano, fatte di sabbia, legno bruciato, lastre di ghiaccio, prato, muschio, tronco di alberi, candele e polvere da sparo. Queste sagome, rappresentanti un corpo, il corpo di Ana, si fondono con elementi naturali quasi come se stessero per ritornare al loro stato originario e primordiale.
una delle opere più conosciute appartenenti alla serie Fetish è Rupestrian Sculptures che Ana esegue in Escaleras de Jaruco fuori L’Avana nel 1981. Scolpisce delle figure umane dentro una caverna accessibile a tutti in modo da fondersi con le rocce, diventare parte di loro, trasformarsi ed erodersi come loro. E’ Ana stessa a dire che:
«La mia arte si basa sul credo di un’energia universale che scorre attraverso tutte le cose [...]. Le mie opere sono le vene d’irrigazione di questo fluido universale. Attraverso di loro la linfa ancestrale sale, le credenze originali, l’accumulo primordiale, i pensieri inconsci che animano il mondo. Non esiste un passato originale che si debba redimere: esiste il vuoto, l’essere orfano, la terra senza il battesimo degli inizi, il tempo ci osserva dall’interno della terra. Esiste soprattutto, la ricerca dell’origine.» [2]
Ana crede in un mondo che, con e come i suoi figli, è tutto e niente. La natura, con le sue creature, fa il suo corso che inevitabilmente finirà con la natura e ricomincerà dalla natura stessa. Ana così fonde il suo corpo a ciò a cui appartiene veramente. E’ come se il distacco dalla sua terra natia, vista come grembo materno, la porta a ritrovare se stessa dialogando con la natura e i suoi elementi. Ana stessa infatti dice che:
«La mia arte è il modo in cui ristabilisco i legami che mi uniscono all'universo. È un ritorno alla fonte materna. Attraverso le mie sculture terra / corpo divento uno con la terra… divento un'estensione della natura e la natura diventa un'estensione del mio corpo». [3]
Questi lavori di Ana sono estremamente umani: respirano fuoco e fumo, ne fuoriesce sangue, crescono, si disintegrano e rinascono. Quello che fa Ana è antropomorfizzare la natura fornendola di senzienza, desiderio, e identità; è pensare alla natura più di un semplice materiale scultoreo (Blocker, 1999). [4]
Se fino ad ora Ana adopera la performance, la Body art, la Land art per esprimere la sua arte, è a Roma con la residenza all’American Academy che inizia a lavorare per la realizzazione di opere indoor. Ana crea così Mud Figure (1984), sculture per pavimenti somigliante a un corpo o a delle foglie e modellate con il fango; e la serie Totem Grove (1983-1985) che nasce dalla creazione di sculture da tronchi d’albero, totem, su cui disegna foglie e sagome umane attraverso la bruciatura del legno. Sembra quindi che, nonostante negli ultimi anni Ana lavori per la realizzazione di opere interne, il suo legame con gli elementi naturali che richiamano fonti ancestrali e universali, risulti sempre vivo e principale.
Attraverso la sua arte, Ana ci fa conoscere se stessa. I suoi lavori sono personali quanto universali; tutti siamo alla ricerca della nostra identità, tutti viviamo in balia di ciò che ci accade e tutti ci interroghiamo sull’origine e sulla fine della vita. Ana non ha semplicemente portato il suo corpo nella natura, Ana ha reso il suo corpo natura, eliminando i limiti di spazio e tempo, oltrepassando l’inizio e la fine dello stato naturale, facendo coabitare spiritualità tanto distanti quanto vicine.
Ana Mendieta non è una martire, né semplicemente un’artista femminista; Ana Mendieta è un’artista di origine cubana che ha amato l’arte facendone vita; e ciò che ci rimane di Ana non sono solo i suoi meravigliosi lavori.
Ciò che ci rimane di Ana è proprio la sua anima.
Trailer dell’esibizione "Ana Mendieta, Traces" presso Hayward Gallery di Londra
Note
[1] Blocker, J., Where is Ana Mendieta? Identity, Performativity, and Exile. Durham and London, Duke University Press, 1999
[2] Merz, B. e Gambar, O. (a cura di) Ana Mendieta. She Got Love, 2013
Fonte: https://www.castellodirivoli.org/wp-content/uploads/2012/12/giornale_ana_mendieta_definitivo.pdf
[4] Blocker, J., Where is Ana Mendieta? Identity, Performativity, and Exile. Durham and London, Duke University Press, 1999
Immagine in copertina: A.Mendieta, "Imágen de Yágul" (1973) - Siluetas
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