La mattina del 27 febbraio 2021 mi sveglio con una mail venuta giù come una secchiata d’acqua ghiacciata che mi porta a venire a patti con il mio stato d’animo, a riflettere su come sto. Una domanda che nella vita quotidiana cerco sempre di evitare con un malcelato sarcasmo, perché mi mette in ansia, non so mai cosa dire. Non mi conosco così bene.
Cosa diceva questa mail?
Nella notte del 27 febbraio 2021 tramite newsletter i Fine Before You Came hanno mandato in anteprima agli iscritti il loro nuovo album FORME COMPLESSE. In allegato un messaggio accorato, semplice e rigorosamente in minuscolo; un modo di scrivere che appartiene a quelli che vogliono far capire che non gli importa del loro modo di scrivere.
![Fine Before You Came nuovo album](https://static.wixstatic.com/media/1129db_827a8bd3afb5452b80d5e05649b34f92~mv2.jpg/v1/fill/w_622,h_1280,al_c,q_85,enc_auto/1129db_827a8bd3afb5452b80d5e05649b34f92~mv2.jpg)
Un click al link ed ecco nero su bianco uno squarcio di un mondo di suoni e parole. Sette tracce (numero fedele al titolo del precedente album Il numero sette uscito nel 2017, anch'esso di sette tracce) per una durata totale di circa mezz'ora.
e poi i consigli che, dai, son sbagli riesumati dall’armadio / spolverati e goffamente risistemati / li ho rivenduti assai più cari di quel che realmente valevano / molto poco sai / non facciamolo più. io non lo farò più
La prima canzone, Gittana, inizia parlando degli sbagli compiuti che sono esperienze che diventano consigli in un ciclo di eterno ritorno come quello della moda vintage. A proposito, di inverno servono le giacche giuste, perché bisogna star attenti a non prendere un malanno, di inverno.
Come sto? Beh, bene prima che veniste, cari Marco, Filippo, Mauro, Jacopo e Marco. In realtà, grazie per essere tornati, non vedevo l'ora. Cercando di capire voi, finisco sempre per capire me.
Ho già ascoltato tutto l’album durante la colazione e riascoltato di nuovo prima di decidere se e in che modo scrivere qualcosa sui FBYC. Qualcosa che non fosse la recensione del nuovo album perché non è materia di mia competenza e neppure un’analisi storico-sociale della band perché ne hanno già scritto davvero bene.
Il punto è che i Fine Before You Came sono estremamente significativi per me e vorrei parlarne proprio in questo senso, secondo la mia esperienza e la mia personalissima sensibilità, senza proporre un’opinione critica. Mi prendo il tempo di fermarmi un attimo per capire cosa significano per me i FBYC, nella speranza che potranno essere “qualcosa” anche per il lettore che non li conosce. Solo che quando si parla di musica è un attimo finire nel sentimentale. Nel peggiore dei casi, il suddetto lettore si sarà fatto un po’ di affari miei.
“I Fine Before You Came sono e sempre saranno Marco, Filippo, Mauro, Jacopo e Marco”
Una ricerca veloce su Google per scoprire che si tratta di un gruppo emo, post-rock italiano (italiano!) formatosi a Milano nel 1999. Inutile cercare sui social Facebook e Instagram perché non esistono profili ufficiali della band. Una scelta – a dir poco “indie” se non fosse che il termine indie ora come ora coincida con il mainstream – che li tira fuori dalla logica del mercato discografico che sulla giusta strategia di marketing fonda gran parte della musica italiana. Da un'intervista: «Non ci piace Internet e non sappiamo nemmeno tanto bene come si usa. Ci piace solo perché ci fa ascoltare tanta musica aggratis.»
Come ci si arriva a questo gruppo di outsider?
La mia conoscenza dei fain bifor iu cheim (sono dei simpaticoni e a volte si auto-chiamano così) è avvenuta attraverso “amici di amici”. In Glamour (2013), secondo sorprendente album de i Cani, figura una traccia dal titolo enigmatico: FBYC (s f o r t u n a).
Una sigla che non dice nulla: non è da cultura pop, è di nicchia, ma qualcosa significherà. Qualcosa che ha senso di stare lì nel sofisticato mondo di Niccolò Contessa, il man della one-man-band de i Cani. Il testo (mi) parla del senso di frustrazione che trova luogo nell’abisso che c'è tra le nostre ambizioni e l’effettiva realtà del mondo che viviamo.
E poi temo il successo / ma non quanto l'insuccesso/ Forse è per questo che passo la vita a dire che non mi interessa (FBYC, i Cani)
E poi una ripetizione ossessiva di una frase, che pare più uno slogan generazionale, “maledetta sfortuna” per coprire quel senso di vuoto da voler riempire con cose concrete: cibo, videogiochi, il minimo di soldi per campare senza problemi. Nel mezzo del testo, un riferimento preciso a un certo Jacopo che spedisce magliette e abbracci.
Un amico di Niccolò Contessa degno di essere citato, è degno di essere ricercato. Così si viene a conoscenza di Jacopo Lietti che lavora per un’azienda di "Brutta grafica & Serigrafia" Legno ed è cantante della band Fine Before You Came, il cui album s f o r t u n a (2009) è un cult della subculture musicale italiana e che l’ultimo brano dal titolo VIXI (anagramma del 17 in numeri romani) fa:
ho tirato pugni da ogni parte solo per uscire da un sacchetto di carta / scoperto posti in cui dove parcheggi, in fondo, a nessuno importa / e camminato in tondo per ore e ore / senza mai guardare in alto per paura di ammettere di avere paura / ho chiamato i miei insuccessi sfortuna / maledetta sfortuna
Tutto qui. Il tempo di sei versi per descrivere un male di vivere perpetrato fino al 2013 di Glamour e fino al 2021 di me che ascolto VIXI e FBYC consecutivamente, una sorta di spleen intergenerazionale. In me si riuniscono e si ricompongono le parole precise e le urla disperate di un malessere che non ha più forze di nascondersi o di abbellirsi.
Si può finalmente ammettere di avere paura. Di avere fallito. Di aver tentato di giustificare i fallimenti. Di aver finto di non avere paura e di non avere fallito.
La brutalità di quelle parole ha su di me l’effetto di un freddo ago di una siringa trafitta nel mio braccio per iniettarvi una confortante sostanza che mi dà forza per affrontare la realtà. Così come per certe sostanze, basta una piccola dose per dare inizio alla dipendenza: un modo alquanto pittoresco per dire che i Fine Before You Came mi hanno conquistata immediatamente e che non li ho mai più abbandonati.
Amore a prima vista / dipendenza a prima dose
Non sono di certo state solo le parole a creare questa magica chimica di accoppiamento.
La musica: martellante.
La voce: urlante.
Un sound che mi rimandava a una colonna portante delle mie playlist: i Gazebo Penguins, giunti alle mie orecchie con la straziante Senza di te nello straziante The Game (A love story) dei The Pills. L’ambiente è quello di Contessa, la Roma degli anni 10 nel fermento di una generale e generazionale stanchezza disillusa.
Continuando la scia della metafora stupefacente direi che se i Gazebo Penguins riempiono i polmoni, i FBYC riempiono le vene. Marco, Filippo, Mauro Jacopo e Marco hanno qualcosa di molto diverso, qualcosa di più profondo.
![](https://static.wixstatic.com/media/1129db_1f9a2132abc54eb3a282d9c90a7053e3~mv2.jpg/v1/fill/w_980,h_980,al_c,q_85,usm_0.66_1.00_0.01,enc_auto/1129db_1f9a2132abc54eb3a282d9c90a7053e3~mv2.jpg)
Nel 2009 esce il loro primo disco, Sfortuna album post rock, emo, hardcore scritto in lingua italiana (in lingua italiana!) che segnerà per sempre e irrimediabilmente non solo la scena musicale italiana, ma soprattutto la vita di tanti ragazzi che si sono ritrovati in quella «scrittura carveriana, il fine sarcasmo, la profondità dello sguardo, la disperata sincerità, il tutto urlato e frullato in quella macchina bellissima che sono i FBYC.» (Enrico Molteni, bassista de i Tre Allegri Ragazzi Morti)
In occasione dei 10 anni dall’uscita di questo “disco della vita” Vice ha raccolto in un articolo le parole di chi da quel disco si è fatto cambiare. Vale la pena riportarne almeno un paio:
«Sfortuna per me è uno di quei ricordi che ti porti dentro sempre. Quando lo rivivi lo arricchisci o ti tornano in mente ogni volta dettagli nascosti che prima non vedevi. Mi fa questo effetto quando lo riascolto. Gli devo tanto. Grazie.» (Andrea Sologni, bassista dei Gazebo Penguins)
«Sono passati dieci anni e oramai non sono più un ragazzino emo-punk. Ma posso ancora affermare con forza che non mi sono mai vestito da adulto e che ai colori pastello ho sempre preferito il nero. Certe cose non passano mai; Sfortuna è uno di quei dischi che non passeranno mai.» (Mario Orsini che canta nei La Via Degli Astronauti e organizza concerti a Napoli con Controcanti.)
Vorrei poter dire che i Fine Before You Came sono speciali e basta. Basta ascoltarli. Invece non è vero invece, per capire quanto sono speciali bisogna capirli.
Capire i loro testi
La matassa di suoni e grida quale è ogni canzone dei FBYC riesce a sintonizzarsi perfettamente con il punto lontano dove risiedono i miei sentimenti, così confusi, inutilmente intricati che non riesco mai a capirli.
Nell’ascoltare la musica dei FBYC questa recondita parte di me risponde all’appello, ed è quella parte di me che io da sola non riesco a sentire mai. È quella parte di me, vulnerabile e sentimentale che con una mano cerco di afferrare e contemporaneamente con l’altra cerco di scacciare. Per questa ragione mi è così difficile decodificare il mio stato d’animo e rispondere alla domanda “Come stai?”. Per farlo ci vuole quella stessa particolare attenzione che metto quando chiudo gli occhi e cerco di scovare in mezzo ai suoni martellanti il significato di quelle parole risicate e urlate, cosicché tentare di capire cosa letteralmente dice la canzone diventa per me un allenamento di comprensione delle mie emozioni aggrovigliate.
L’etichetta del genere emo-hardcore potrebbe far pensare che se queste grida non inneggino a Satana (quello forse è compito del metal) siano mera valvola di sfogo di tristezza, piogge di lacrime e disperazione e sconfitta e dolore. Sì, senza dubbio c’è tutto questo nei FBYC, ma non solo questo. C’è molto spesso anche un’amara dolcezza che fa anche sorridere tavolta, come quando dicono che:
Vorrei che il magone fosse un grande mago che ti strappi un sorriso/ perché credimi, con quella faccia mi sembri un randagio (Magone)
I FBYC parlano proprio dell'interpretazione dei loro testi in un'intervista in cui l'intervistatore suggerisce che, secondo lui, in Ormai (2012) l’album che venne dopo il fortunatissimo Sfortuna, l’attenzione sembra ora rivolta alla vita quotidiana, le sue malinconie e le sue rinunce:
«La tua interpretazione di “Ormai” è molto simile alla nostra. Questo non vuol dire che sia per forza quella giusta perchè immaginiamo che il bello della musica sia proprio il fatto che ognuno possa viverla in maniera diversa a seconda del proprio umore e del proprio vissuto. I testi che scriviamo non parlano solo di coppie di amanti o di dilemmi di giovani padri. Spesso parlano di noi come gruppo. […] La cosa certa è che cercare di analizzare i motivi per cui un testo è stato scritto in un determinato modo da un determinato individuo rischia di limitare la capacità del testo stesso di appartenere a più persone. E’ come quando ascolti un pezzo e nella testa ti disegni un immaginario tutto tuo.»
In poche parole, il significato della musica è di chi l'ascolta.
I testi delle canzoni dei FBYC sembrano tratte dalle pagine del proprio diario, o ancor meglio: da quelle pagine che non si ha mai avuto coraggio di scrivere, ma che ci portiamo indelebili nella testa.
La tristezza, la vergogna, il fallimento che sentiamo sulle spalle, penso che se lo urlassimo staremmo tutti meglio. Sentimenti e sensazioni inconfessabili che i FBYC gridano al vento, senza avere paura di ammettere che si vorrebbe andare al cinema ma «paghi tu perché io non ho un lavoro», dire che si desidera qualcuno che si prenda un po’ cura di noi, confessare che si ha ricominciato a fumare «perché è più forte di me».
C’è chi ha paragonato i concerti dei FBYC a una terapia di gruppo in cui si svuota il cuore dal malessere (scream therapy?) che ci logora dentro e trovarsi accanto a qualcuno che fa lo stesso è un momento di forte e significativa connessione umana. Efficace più di una preghiera.
Ritrovarsi così intimamente in parole altrui e ritrovarsi addirittura a gridarle accanto a qualcuno messo proprio come te, fonda una connessione profonda ed è la magia umana dell’empatia. L’empatia come modo della mente «per mettere ordine nel disgustoso delirio che il mondo ci sembra oggi.» (Elia Alvoisi). Sapere di non essere soli, di essere compresi, di sentirsi collegati in qualche modo a un universo di sentimenti comuni rende meno brutto, se non addirittura bello anche il pensiero più brutto, «così brutto da ricordarmi bello e risentirmi vivo». E non venitemi a dire che fa tutto schifo quel che è triste.
Capire la loro latitanza dai social
I Fine Before You Came rappresentano anche un particolare caso-studio di ragazzi che fanno musica per il piacere di farlo, «perché i FBYC sono una cosa bella e tale rimarrà per sempre.» Tutti i loro dischi (tranne l'ultimo) sono disponibili in download gratuito, con i guadagni si pagano quelle poche prove che si riesce a fare quando i pianeti (gli impegni personali e lavorativi) si allineano. Il loro modus operandi è davvero scandaloso rispetto a quello di un artista medio dei nostri tempi.
Niente social. Niente promozioni.
Assomigliano più a dei signori di mezza età che si vedono ogni venerdì sera per giocare a calcetto.
Sempre dalla stessa intervista:
«Come fa la banda ad essere una priorità quando hai dei lavori e delle famiglie? dovresti far coincidere banda e lavoro. Ma se la banda diventa il tuo lavoro sei costretto a suonare per tirare a campare, magari controvoglia. E allora si spegne tutto. Forse è proprio questa cosa che ci salva, e che ci fa percepire come genuini e quindi in qualche modo amici. [...] Noi siamo contentoni di suonare 2-3 volte al mese, mettere insieme i soldi per pagarci le prossime prove, le registrazioni e se avanza qualcosa anche qualche bolletta o rata dell’asilo per i nostri figli. Il lavoro è un’altra cosa. La banda è bella. Il lavoro è brutto. Poi se il lavoro è bello sei fortunato.»
Questa autenticità diretta senza fronzoli, senza prese per il culo, è ciò che mantiene la band una perla più unica che rara, qualcosa che non è per tutti, ma che è, potenzialmente, di tutti.
La loro a-normalità del tirarsi via dai “sistemi” mi ricorda i tempi della mia adolescenza passata chiusa nei pensieri solo miei, inaccessibili e incomunicabili. C’ero io e poi c’era il mondo esterno e mi stava bene questa abissale differenza dimensionale. Un'outsider dei miei tempi, nel mio piccolo liceo di una piccola città, al di fuori di qualsiasi cerchia, sistema, logica. Per questo vale la pena soffermarsi a pensare ai Fine Before You came e al successo che hanno, successo misurato nelle parole di affetto, stima e riconoscenza che si leggono pressocché ovunque si parli di loro. Loro che hanno messo "semplicemente" loro stessi prima di tutto e tutti, loro che hanno messo l'amore per la musica fatta insieme al di sopra del guadagno senza scrupoli, loro che tengono sempre a specificare “I Fine Before You Came sono e sempre saranno Marco, Filippo, Mauro, Jacopo e Marco”.
Come hanno fatto? Perché loro siamo noi.
Perché è bellissimo immaginarsi di essere Dua Lipa vestita di rosa che balla in un mondo dall’estetica gusto bubblegum, ma è ancor più bello immaginare di essere sé stessi. Immaginare di essere sé stessi liberamente, così per come si è, discretamente patetici, stanchi, tormentati, in ritardo, in fallimento.
I FBYC sono per me “il gruppo della vita” non perché sia il gruppo che ascolto da più tempo e neppure il mio preferito, ma perché è il gruppo che si allinea perfettamente, per loro e per mia sfortuna, alla mia condizione esistenziale, o per meglio dire, alla narrazione che faccio di me stessa. Mi piacerebbe molto avere l’allure di innata eleganza decadente dei Baustelle o assomigliare al genio indipendente di Contessa, ma in realtà mi sento più vicina a due parole in croce urlate alla rassegnazione di non essere proprio niente di speciale. Ed è proprio questo che mi fa sentire speciale, perché ammettere che non si è speciale non è da tutti.
È un atto di spiazzante coraggio.
I Fine Before You Came mi hanno fatto capire che bisogna tenere a sé stessi e che si può veramente essere amati per come si è, anche quando ci si sente uno schifo e quando si è diversi dagli altri, introversi e schivi. Perché io amo profondamente i Fine Before You Came proprio per quello che sono. Li amo come amo la mia migliore amica del liceo che non vedo quasi mai, ma con la quale mi basta scambiare due parole per sentirmi a casa.
La canzone che ho ascoltato in loop mentre scrivevo?
Capire Settembre, penultima traccia di Ormai.
se ad ottobre non sono guarito tu porta pazienza / è soltanto questione di ore / non è niente rispetto a una vita in cui provo a capire per quale motivo settembre non fa per me.
E’ esattamente quello che vorrei dire quando non so cosa dire a chi mi chiede come sto.
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