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Immagine del redattoreLuca La Porta

La storia dell’arte e' finita?


Nel 1983 lo storico dell’arte tedesco Hans Belting ha pubblicato un saggio intitolato provocatoriamente “La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte”, edito in Italia da Einaudi soltanto nel 1990, in cui viene messa in discussione la concezione di una storia dell’arte universale e unificata. Nonostante l’autore usi la parola fine, essa non allude affatto alla fine della storia dell’arte ma a un rifiuto dei modelli tradizionali di presentazione storiografica per lo più varianti di una storia dello stile “in cui gli esseri umani facevano la loro comparsa in quanto artisti, o all’occorrenza in qualità di committenti”.




Breve storia della storia dell’arte

La prima vera formulazione storico-artistica dell’età moderna risale al 1550, quando il pittore fiorentino Giorgio Vasari scrive Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, annunciando ambiziosamente di non essersi limitato a elencare gli artisti e le loro opere ma di aver investigato il corso degli eventi allo scopo di far conoscere al lettore “le cause e le radici delle maniere e del miglioramento o il peggioramento delle arti”. Dalla storiografia antica e dalla filosofia stoica Vasari mutua una concezione ciclica della storia; lo sviluppo storico delle arti è concepito come un avvicinamento o un arretramento rispetto a una norma prestabilita: il bello stile della maniera moderna.


Ancora nella seconda metà del Settecento Johann Joackim Winckelmann, autore di una Storia delle arti del disegno presso gli antichi (1779), riprende dall’impianto storiografico vasariano l’idea di un avanzamento o arretramento ciclico delle arti rispetto al canone estetico dell’ “antichità pura”, cioè della bellezza classica. Tuttavia, secondo Belting, sia Vasari che Winckelmann hanno finito per scrivere la storia di una norma estetica piuttosto e non invece una storia dell’arte.


Soltanto più tardi, in età romantica, la storiografia artistica si emancipa definitivamente dai valori estetici, ma a caro prezzo perché gli storici dell’arte cominciano a riferirsi a dottrine metafisiche e a filosofie estetiche che definiscono l’arte fuori da un contesto storico ed empirico. Alla radice di questo cambiamento c’è la fortuna dell’estetica hegeliana. Hegel, infatti, sostiene che lo scopo della storia dell’arte è quello di definire la funzione che l’arte ha assunto nel corso della storia in quanto forma sensoria dello Spirito. L’arte, pertanto, non è nient’altro che la proiezione di una Weltanschauung: la storia dell’arte non è scindibile dalla storia della cultura. Secondo Hegel lo stile classico dell’arte antica, lungi dall’essere eterno, è indissolubilmente legato a uno sviluppo mentale e culturale non ripetibile e non più a una concezione ciclica della storia.


Agli inizi del Novecento, quando gli artisti delle avanguardie liberarono l’arte dalle convenzioni e dai canoni dell’arte del passato, il modello di una storia dell’arte intesa come storia della cultura va definitivamente in crisi. Non è un caso che la storiografia artistica degli inizi del XX secolo abbia cercato di ricucire lo strappo operato dalle avanguardie, assumendosi il compito di ordinare l’arte in una sequenza unitaria. Via via che l’arte d’avanguardia raccoglie consensi, la storia dello stile sembra offrire un nuovo paradigma storiografico universale per la storia dell’arte. Belting ritiene che gli storici della scuola purovisibilista, in modo particolare Alois Riegl e Heinrich Wölfflin, cercarono di interpretare gli stili del passato alla luce dei movimenti d’avanguardia (espressionismo, cubismo, futurismo, astrattismo):


«La nozione di ‘stile’ di Riegl era tanto astratta, proprio perché avulsa da tutti quei fattori che condizionano un’opera, che da essa se ne è potuta ricavare la nozione astratta di art pur. I Principi di Storia dell’arte di Wölfflin, che si è supposto corrispondano a forme del vedere, apparvero contemporaneamente ai primi dipinti astratti. Con Wölfflin la storia dell’arte non è più esercitata alla luce dell’esperienza artistica contemporanea, bensì sotto la sua impressione»


Con la crisi delle avanguardie storiche, anche il paradigma della storia dello stile, così come teorizzato da Riegl e da Wölfflin, entra in crisi. La storia dell’arte ridotta alla storia degli elementi stilistici (linea, forma, colore, spazio, composizione, ecc…), difficilmente avrebbe potuto mantenere la sua pretesa di essere una rappresentazione sintetica e storica; di conseguenza le analisi formali hanno sempre cercato un pendant nell’iconologia, disciplina che studia i significati simbolici, metaforici, allegorici e ideologici delle opere d’arte, operando in questo modo una netta separazione tra forma e contenuto, tra arte e storia.


Ma l’arte è storia? Secondo Belting ogni manifestazione artistica è un documento storico. Infatti, i mezzi espressivi di un’opera d’arte rimandano sempre a un tipo di ‘sguardo’, ossia a un modo di interpretare la realtà proprio di una specifica epoca storica. Occorrerebbe, pertanto, un approccio all’analisi delle opere d’arte attento non soltanto a ciò che le precede o le influenza, ma anche a ciò che le circonda. Ecco perchè per Belting l’iconologia dovrebbe allargare il proprio campo d’indagine ad altri tipi di immagini, anche a quelle non artistiche, proprio perché i confini che separano l’arte dalla cultura e dalla società sono sempre stati labili.


La storia dell’arte dopo la fine della storia dell’arte

La storiografia tradizionale ha fatto dello stile il protagonista di una trattazione sintetica, retrospettiva, che chiamiamo storia dell’arte universale. Per Belting essa oggi può servire soltanto da traccia in attesa che nuove ricerche e orientamenti possano prenderne il posto.


Pur senza l’intenzione di proporre un “programma”, egli avanza alcune proposte, riassumibili in quattro punti:

  • Adottare un approccio interdisciplinare in cui le discipline umanistiche e le scienze sociali possano dialogare tra loro al fine di restituire all’opera d’arte, e non più allo “stile”, la sua centralità.

  • Analizzare la funzione e la ricezione delle opere d’arte, per ricostruire i rapporti che legano la forma artistica al contesto storico a cui si riferisce.

  • Rintracciare nell’arte del passato quel “radicamento alla vita”, cui l’arte contemporanea è tanto interessata, oppure mostrare come il rapporto con la vita sia stato deformato ideologicamente dall’arte.

  • Approfondire gli studi sui rapporti che intercorrono tra l’arte, i media artistici e le immagini non artistiche al fine di gettare una luce sui sistemi di comunicazione simbolica.

Belting, in questo modo, da un lato suggerisce un nuovo approccio allo studio delle arti visive che comporta il superamento del rigore metodologico della storiografia artistica degli inizi del XX secolo, e dall’altro getta le basi teoriche degli studi di cultura visuale, cui lo storico dell’arte tedesco sembra ormai aver rivolto i propri interessi.





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